Occupazione e resistenza dopo l’11 settembre 200. La morte di Arafat e la rottura palestinese
11-15 settembre 2001 In alcuni centri palestinesi la popolazione manifesta per le strade il suo giubilo per l’azione bellica compiuta da combattenti mussulmani contro gli Stati uniti, ritenuti i protettori di Israele. Ma la contentezza dura poco. Il 12, a Jenin, i mezzi corazzati israeliani entrano nella città ed aprono il fuoco uccidendo 12 palestinesi, fra cui una bimba di 8 anni, e ferendone 30. Il 15 l’esercito israeliano, con elicotteri da combattimento ‘Apache’ e mezzi corazzati, attacca Gaza distruggendo il quartier generale del servizio segreto palestinese, caserme e stazioni di polizia. Hanan Ashrawi, portavoce della Lega araba e parlamentare palestinese, afferma: “E’ un massacro. Da quando c’è stato l’attacco contro le Torri gemelle, Sharon ha invaso prima la Cisgiordania e ora Gaza. L’obiettivo è lo stesso: uccidere e distruggere il più possibile, mentre l’attenzione del mondo è altrove, mentre può far credere al mondo che ogni massacro di palestinesi innocenti è una legittima operazione contro il terrorismo”.
27-28 settembre 2001 A Gaza l’esercito israeliano, senza alcuna motivazione, apre il fuoco sui palestinesi, uccidendone 5 e ferendone 36. Il giorno seguente, a Gerusalemme, 7 morti e 30 feriti sono il bilancio della repressione compiuta dai militari israeliani in un solo giorno nel territorio della Palestina. Perfino il Dipartimento di stato americano si vede costretto a rilasciare una dichiarazione di condanna dell’azione israeliana: “Chiediamo ad Israele di astenersi da azioni provocatorie”.
2 ottobre 2001 A Washington, il presidente americano George Bush dichiara ai giornalisti: “L’idea di uno Stato palestinese ha sempre fatto parte della visione americana del futuro del Medio Oriente. A condizione che sia rispettato il diritto di esistere dello Stato di Israele”. La dichiarazione provoca la reazione di Ariel Sharon che dichiara: “Nella guerra contro il terrorismo, l’America vuole ottenere il sostegno degli arabi a spese di Israele come l’Europa sacrificò la Cecoslovacchia ai nazisti”. Ma il giorno seguente il contrasto si ricompone, dopo una telefonata fra il segretario di Stato americano Colin Powell e il premier israeliano Ariel Sharon.
7 ottobre 2001 Dopo l’attacco americano all’Afghanistan, Osama Bin Laden, nel messaggio registrato trasmesso dalla televisione del Qatar Al Jazeera, ricorda l’aggressione israeliana contro i palestinesi e dichiara: “Giuro su Allah che né l’America, né coloro che vivono in America avranno la sicurezza fino a quando non l’avrà concretamente la Palestina e fino a quando tutti gli eserciti infedeli non usciranno dalla terra del profeta Mohammad”.
8 ottobre 2001 A Gaza, la polizia palestinese apre il fuoco sui concittadini che manifestano contro i bombardamenti in Afghanistan ed a favore di Osama Bin Laden, uccidendo 3 persone, fra cui un ragazzino, e ferendone 39. L’ordine di aprire il fuoco per impedire a tutti i costi manifestazioni antiamericane è stato impartito personalmente da Yasser Arafat. Nella serata, saranno gli israeliani ad uccidere, a loro volta, altri 2 palestinesi.
14 ottobre 2001 In Cisgiordania, tiratori scelti dell’esercito israeliano uccidono sul terrazzo della sua abitazione Abdel Rahaman Hamad, ritenuto uno dei capi di Hamas.
17 ottobre 2001 A Gerusalemme, militanti del Fronte per la liberazione della Palestina giustiziano con 2 colpi di pistola, all’interno dell’albergo nel quale alloggiava, l’ex ministro del Turismo israeliano, Rehavam Zeevi, che si era dimesso dal governo per protestare contro il ritiro dei carri armati da Hebron. L’azione risponde all’uccisione del segretario generale del Fronte, compiuto dai militari israeliani il 27 agosto, con il lancio di un missile sparato da un elicottero, all’interno del suo ufficio.
18-20 ottobre 2001 Si scatena preannunciata e puntuale la rappresaglia israeliana per l’uccisione del ministro Zeevi. I carri armati sono penetrati a Betlemme aprendo il fuoco contro una scuola. Bilancio: una scolaretta di 10 anni uccisa, altre 9 ferite. E’ poi colpita con missili un’auto sulla quale viaggiava con due compagni Atef Abayat, dirigente dell’organizzazione di Arafat. Uccisi anche due poliziotti palestinesi. Il giorno seguente, a Betlemme, i carri armati israeliani aprono il fuoco uccidendo 15 palestinesi e ferendone oltre 40. Fra i morti, un bambino di 13 anni. Un portavoce del governo Sharon dichiara: “Abbiamo eliminato o catturato una ventina di terroristi, continueremo queste incursioni fino al raggiungimento dell’obiettivo prefissato, cioè l’arresto degli autori dell’omicidio del ministro Zeevi e lo smantellamento delle organizzazioni terroristiche”.
21 ottobre 2001 Mentre continua l’azione militare israeliana nei Territori occupati con l’uccisione di altri 7 palestinesi, Yasser Arafat pone fuori legge il Fronte per la liberazione della Palestina, ma rifiuta di consegnare i militanti arrestati alle autorità israeliane, come preteso da Ariel Sharon.
24 ottobre 2001 A Ramallah, l’esercito israeliano occupa il sobborgo di Beit Rima aprendo il fuoco e uccidendo almeno 10 civili e ferendone altre decine. In altre località dei Territori, sotto la giurisdizione dell’Autorità nazionale palestinese, i militari israeliani uccidono altri civili. Sale così a 15 il bilancio di una notte di sangue.
1 novembre 2001 Un elicottero israeliano uccide nei pressi di Tulkarem, con un missile, 2 dirigenti di Hamas che si trovavano nella loro auto. Hamas aveva accettato la tregua chiesta da Arafat; l’omicidio di due suoi militanti la induce, ora, a riprendere la lotta armata.
6 novembre 2001 Il primo ministro israeliano Ariel Sharon dichiara che è sua intenzione far giungere in Israele “almeno un milione di nuovi coloni”. Continuano intanto le uccisioni israeliane di palestinesi a Nablus e Jenin, dove 2 militanti del Fatah sono uccisi da un missile sparato contro la loro vettura.
19 novembre 2001 A Bruxelles, il Tribunale invia ad Ariel Sharon, premier israeliano, un mandato di comparizione per via diplomatica che fissa alla data del 28 novembre il suo interrogatorio, come atto preliminare per decidere circa la sua incriminazione per “crimini di guerra e contro l’umanità” relativamente al massacro nei campi profughi di Sabra e Shatilla (v. nota 16-17 settembre 1982).
23 novembre 2001 A Nablus, 2 elicotteri israeliani colpiscono con una raffica di missili l’auto sulla quale viaggiavano Mahmud Abu Hanud, leader militare di Hamas, e due suoi compagni uccidendoli sul colpo. L’omicidio è rivendicato da un portavoce del governo: “E’ stato uno dei nostri più importanti successi nella lotta al terrorismo”. A Gaza, 3 palestinesi sono ammazzati dai militari israeliani nel corso di manifestazioni, 2 militanti del Fatah sono uccisi da un elicottero nell’ambito della tattica degli ‘omicidi mirati’, mentre un ragazzo viene ucciso nel corso di ulteriori proteste palestinesi.
24 novembre 2001 A Gaza, 5 colpi di mortaio sparati dai palestinesi uccidono un israeliano e ne feriscono altri 2. E’ la prima risposta all’omicidio del responsabile militare di Hamas, compiuto ieri.
29 novembre 2001 Record di morti in una sola giornata per la reazione israeliana ad un attentato contro un autobus israeliano (4 uccisi) da parte di un kamikaze palestinese. Secondo l’agenzia “France Press”, sarebbero 1005 i morti, per la gran parte palestinesi, dall’inizio della seconda Intifada, dei quali 160 bambini e adolescenti.
1-2 dicembre 2001 A Gerusalemme, due kamikaze palestinesi e una autobomba in pieno centro provocano almeno 10 morti e 150 feriti. Ad Haifa, il giorno seguente, un altro attentatore suicida palestinese si fa esplodere insieme alla bomba che trasportava su un autobus, provocando la morte di 16 persone e il ferimento di altre 40. Continua in questo modo la rappresaglia di Hamas dopo l’uccisione del responsabile militare dell’organizzazione. Il responsabile dell’ufficio politico di Hamas, Khaled Meshal, dichiara: “Abbiamo i mezzi per resistere e offrire martiri per altri 20 anni…Il nostro obiettivo è quello di rendere il costo dell’occupazione dei Territori palestinesi troppo caro per l’occupante”.
3 dicembre 2001 A Gaza, elicotteri da combattimento israeliani attaccano il quartiere generale di Yasser Arafat, distruggendo 2 elicotteri in uso del presidente dell’Anp. Attacchi israeliani sono sferrati anche su Jenin e Betlemme. Un bilancio provvisorio parla di decine di vittime. Il primo ministro israeliano Sharon, in un discorso alla nazione, accusa Arafat di essere il responsabile primo degli attacchi contro Israele. Gli fa eco da Washington il presidente George Bush che afferma: “lo Stato di Israele ha tutto il diritto di difendersi e Arafat ha il dovere di catturare e consegnare i terroristi”, appoggiando così l’azione di rappresaglia israeliana contro i Territori.
4 dicembre 2001 Sessanta scolari rimangono feriti per le bombe a Gaza, sganciate dagli F-16 contro il quartiere generale dei servizi di sicurezza dell’Autorità nazionale palestinese, mentre altri palestinesi sono stati uccisi, fra questi un ragazzo di 14 anni. Intanto, a Washington, il presidente Bush ordina il sequestro dei beni finanziari riconducibili all’organizzazione palestinese Hamas.
5-7 dicembre 2001 A Gaza la polizia palestinese, su ordine di Yasser Arafat, arresta lo sceicco Ahmed Yassin, leader di Hamas, nonostante la reazione armata della popolazione della zona. Elicotteri israeliani distruggono la sede centrale della polizia palestinese.
10 dicembre 2001 A Hebron, nel tentativo di uccidere un esponente di Jihad islamica, due elicotteri Apache israeliani lanciano 3 missili che, invece, uccidono 2 bambini palestinesi di 3 e 13 anni di età.
12-13 dicembre 2001 In Cisgiordania, 3 militanti palestinesi attaccano un autobus che trasporta coloni ebrei, provocando almeno 10 morti. Il giorno dopo, per rappresaglia, l’esercito israeliano attacca Ramallah con bombardamenti e l’entrata dei mezzi corazzati che distruggono, fra l’altro, la sede della radio e della televisione. Il primo ministro Ariel Sharon afferma: “Per quanto ci riguarda, Arafat è diventato irrilevante. Non avremo più contatti con lui, dal nostro punto di vista non esiste più”. Il giorno successivo, prosegue su tutto il territorio palestinese la repressione israeliana che provoca altri 8 morti.
15 dicembre 2001 A Beit Hanun, gli israeliani aprono il fuoco contro una folla di bambini che ha accolto a colpi di pietre i carri armati venuti ad occupare il loro villaggio alla ricerca di presunti ‘terroristi’: 4 i bambini morti, oltre 75 i feriti. Violenze ed uccisioni si susseguono nei giorni seguenti.
16 dicembre 2001 A Ramallah, Yasser Arafat pronuncia un discorso televisivo nel quale afferma che l’Autorità nazionale palestinese fermerà la violenza e gli attentati ad ogni costo, anche dinanzi ai comportamenti ingiusti di Israele. Di conseguenza, la polizia palestinese chiude 32 sedi di organizzazioni ritenute contrarie alla tregua con Israele. Hamas, però, respinge la proposta di Arafat e dichiara che proseguirà nella sua lotta contro l'oppressione sionista.
21 dicembre 2001 A Gaza, la polizia palestinese apre il fuoco sui suoi connazionali che manifestano per le strade, uccidendone 6 e ferendone almeno 70. Il governo israeliano, intanto, vieta a Yasser Arafat di recarsi a Betlemme per partecipare alla messa di Natale con la motivazione che “l’Autorità palestinese non sta agendo per smantellare la rete terroristica palestinese ed impedire attentati contro Israele”.
26 dicembre 2001 A Gerusalemme, i responsabili della scuola ‘Orof’, dove alcuni giorni fa un insegnante ha bruciato dinanzi ai suoi allievi la copia del Vangelo, spiegano che il gesto va inteso come un insegnamento ai ragazzi a respingere il proselitismo cattolico in Israele che, se rivolto ai minori, costituisce reato perseguito a norma di legge.
31 dicembre 2001 A questa data, i coloni ebrei nei Territori sono circa 208.000.
2 gennaio 2002 A Gerusalemme, il quotidiano israeliano “Maariv” pubblica la documentazione relativa al crimine commesso da Ehud Yatom, nella notte fra il 12 e il 13 aprile 1984 (vedi nota) quando, con altri agenti dello Shin Bet, uccise due ragazzi palestinesi a colpi di pietra e sbarre di ferro in testa. Il primo ministro Ariel Sharon aveva deciso di nominare Yatom capo dei consiglieri governativi per l’antiterrorismo ma l’Alta Corte ha bloccato la nomina.
11 gennaio 2002 A Gaza, l’esercito israeliano distrugge la pista dell’aeroporto internazionale che era stato costruito con i fondi dell’Unione europea ed inaugurato nel 1999.
14 gennaio 2002 Con una bomba radiocomandata, gli israeliani uccidono Mohammed al Karmi, capo delle brigate Al Aqsa.
19 gennaio 2002 A Ramallah, l’esercito israeliano finisce di distruggere, con l’esplosivo, l’edificio che ospita la radio “La Voce della Palestina”.
24 gennaio 2002 A Beirut (Libano), è ucciso con una autobomba Elie Khobeika, ritenuto il responsabile materiale della strage di Sabra e Shatilla del 16-17 settembre 1982 (vedi nota). Con lui, muoiono 3 guardie del corpo ed una passante. Khobeika, imputato in Belgio insieme ad Ariel Sharon per ‘crimini contro l’umanità’ compiuti nell’eccidio di Sabra e Shatilla, aveva dato qualche giorno prima la sua disponibilità a testimoniare sui mandanti della strage. Unanime il commento di libanesi e palestinesi che individuano nell’attuale governo israeliano, e in particolare nel primo ministro Sharon, il mandante dell’omicidio, allo scopo di tacitare per sempre un complice che, con le sue dichiarazioni, avrebbe potuto determinare la fine politica dello stesso Sharon.
4 febbraio 2002 A Gaza, elicotteri israeliani uccidono 5 militanti palestinesi del Fronte democratico della Palestina, colpendo con missili la vettura sulla quale viaggiavano.
19 febbraio 2002 In risposta ad un audace assalto compiuto contro il posto di blocco di Ein Arik, nel quale perdono la vita 6 soldati, le forze israeliane compiono attacchi simultanei contro poliziotti palestinesi, uccidendone 15, colti di sorpresa e massacrati. Tre anni più tardi il portavoce di un’associazione di veterani ebrei, Avishai Sharon, affermerà che le vendette furono ordinate dai livelli più alti del ministero della Difesa.
24 febbraio 2002 Il governo israeliano decide di impedire al presidente dell’Autorità nazionale palestinese, Yasser Arafat, di abbandonare Ramallah, la città dove vive confinato e circondato dai mezzi corazzati israeliani.
26 febbraio 2002 A Washington, il presidente americano George Bush afferma di aderire alla proposta di pace per il Medio Oriente, formulata dal principe ereditario saudita Abdullah, che ha già raccolto i consensi di Yasser Arafat e dei governi francese e giordano. La proposta prevede il riconoscimento dello stato di Israele da parte dei paesi arabi, in cambio del ritiro delle truppe israeliane sui confini precedenti la guerra del giugno 1967 e del riconoscimento dello stato di Palestina.
28 febbraio 2002 A Nablus, l’esercito israeliano scatena un attacco aero- terrestre contro due campi profughi, provocando 13 morti ed un elevato numero di feriti.
4 marzo 2002 L’esercito israeliano uccide 18 palestinesi e ne ferisce decine nel corso di attacchi aerei e terrestri, con l’impiego di mezzi corazzati, nei Territori occupati. Un carro armato, con una cannonata, stermina l’intera famiglia di un dirigente di Hamas, moglie e 3 figli in tenera età.
11 marzo 2002 L’esercito israeliano uccide 23 palestinesi, ne ferisce altre decine e ne arresta circa 600, nel corso di un’offensiva militare. Viene fotografata anche l’uccisione a sangue freddo da parte della polizia israeliana di un giovane palestinese fermato ad un posto di blocco e, poi, costretto a sdraiarsi per terra ed eliminato senza alcuna motivazione.
12 marzo 2002 L’esercito israeliano invade i Territori con 20mila uomini appoggiati da mezzi corazzati ed aerei, provocando secondo fonti palestinesi 40 morti e centinaia di feriti.
13 marzo 2002 A Ramallah, con una raffica di mitragliatrice sparata da un carro armato israeliano, viene freddato il fotoreporter italiano Raffaele Ciriello. Nella zona non c’erano combattimenti in corso e la raffica è stata mirata per uccidere.
27-28 marzo 2002 A Beirut, la Lega araba approva all’unanimità il piano di pace saudita per il Medio Oriente.
29 marzo 2002 Carri armati israeliani occupano Jenin: sarà una strage.
2 aprile 2002 A Betlemme, per sfuggire all'esercito, un gruppo di oltre 200 palestinesi si rifugia nella basilica della Natività. Comincia un lungo assedio dei militari israeliani alla basilica, tenuta senza acqua, luce né cibo e 2 giovani palestinesi restano uccisi in un’incursione dei soldati, negata, a dispetto dell’evidenza, dall’esercito israeliano che impedisce addirittura la rimozione dei corpi. L’assedio crea un incidente diplomatico col Vaticano. “Con irritante sussiego –scrive “L’Osservatore romano”- si afferma che gli attacchi sferrati da Israele sarebbero una difesa contro il terrorismo. In realtà quello che sta avvenendo si configura come un attacco sferrato a persone, territori, luoghi: i Luoghi santi, la terra del Risorto è profanata col ferro e col fuoco e rimane quotidianamente vittima di un’aggressione che si fa sterminio”.
4 aprile 2002 Il governo israeliano vieta agli inviati dell’Unione europea, il ministro degli esteri Piquet ed il responsabile della politica estera dell’Ue, Solana, di recarsi a Ramallah per incontrare Yasser Arafat.
12 aprile 2002 Nella sola Jenin, i militari israeliani hanno massacrato, fino ad oggi, centinaia di palestinesi, molti dei quali donne e bambini. Un portavoce del governo israeliano ammette la cifra di 250 morti, riconoscendo così l’eccidio compiuto dalle sue truppe; ma il numero degli uccisi ammessi viene ridotto o confuso in successive dichiarazioni, mentre i camion dell’esercito faranno sparire, secondo fonti palestinesi, un numero imprecisato di corpi.
12 aprile 2002 A Ginevra, il direttore generale del Comitato internazionale della Croce rossa, Paul Grossrieder, nel corso di una conferenza stampa, accusa i militari israeliani di violare sistematicamente i diritti umani in Palestina. Grossrieder parla di perquisizioni alle autoambulanze, con il personale infermieristico obbligato a sdraiarsi e a restare in questa posizione per ore nel fango; di spari contro i conducenti delle autoambulanze; di mezzi della Croce rossa volontariamente danneggiati dai carri armati e dai blindati israeliani e, infine, denuncia: “Molti dei palestinesi arrestati, una volta interrogati, vengono rilasciati. Il problema tuttavia è ciò che avviene di notte, quando vige il coprifuoco, quando cioè le pattuglie dell’esercito sparano a vista su tutto quello che si muove”. Un giornalista dell’agenzia “Reuter” descrive così quanto ha visto a Jenin: “Cadaveri abbandonati a decomporsi ovunque fra le case distrutte dai carri armati e dai razzi degli elicotteri”.
16 aprile 2002 A Ramallah, nel corso dei quotidiani rastrellamenti, l’esercito israeliano cattura fra gli altri Marwan Barghouti, leader del Tanzim, l’organizzazione armata di al Fatah.
18 aprile 2002 Peter Hansen, responsabile dell’Unrwa (l’agenzia dell’Onu per i profughi palestinesi) che è potuto entrare nel campo profughi di Jenin, afferma: “Ho evitato finora di parlare di massacro ma oramai ho visto con i miei occhi e non è possibile usare un altro termine. Ho visto gente sconvolta, che ha avuto la casa distrutta, ho visto famiglie strappare i propri morti dalle macerie, pezzo a pezzo…”. Il coordinatore dell’Onu per il Medio Oriente, Terje Rod Larsen, da parte sua afferma di aver provato, entrando nel campo profughi “un orrore che supera ogni comprensione” e definisce l’attacco israeliano “moralmente ripugnante, una pagina vergognosa per la storia di Israele”.
20 aprile 2002 Dopo il rientro a Washington dell’inviato Colin Powell, gli Usa bloccano sul nascere la disposizione dell’Onu di inviare forze di interposizione in grado di difendere la popolazione palestinese dall’esercito israeliano. Dopo aver minacciato il veto anche sul varo di un’inchiesta sul massacro di Jenin, peraltro poi consentono la costituzione di una ‘commissione di accertamento dei fatti’, secondo la formula studiata dal Consiglio di sicurezza. Ma di quest’ultima il governo Sharon- Peres pretende di decidere la composizione, negando che possano farne parte il responsabile dell’Unrwa, Peter Hansen, il coordinatore dell’Onu per il Medio Oriente, Terje Rod Larsen, e la responsabile della Commissione per i diritti dell’uomo, Mary Robertson.
22 aprile 2002 Il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, nomina la ‘commissione di indagine’ sulla strage di Jenin, escludendone le persone invise ad Israele. Intanto, nonostante l’annunciato ritiro dei carri armati dai Territori, l’esercito israeliano continua l'assedio alla sede dell’Olp a Ramallah e la politica degli omicidi mirati, uccidendo fra gli altri un esponente delle brigate al Aqsa che transitava in macchina nei pressi di Hebron.
29 aprile 2002 A Hebron, i militari israeliani uccidono 9 palestinesi nel corso di un attacco agli uffici della polizia palestinese.
3 maggio 2002 A New York, il segretario generale dell’Onu rinuncia ufficialmente all’invio di una commissione d’inchiesta a Jenin, mentre parte una campagna mediatica internazionale finalizzata a ‘provare’ che nel campo profughi non c’è stato alcun massacro ma “solo 52 morti”, come sostiene ora l’esercito israeliano.
7-8 maggio 2002 A Tel Aviv, un attentato contro una sala da ballo provoca la morte di 16 persone e il ferimento di altre 60. Autore un militante palestinese suicida. Il primo ministro israeliano, Ariel Sharon, conclude in anticipo la sua visita negli Stati uniti. Il giorno seguente, a Rishon Letzion, un attentato suicida provoca 15 morti e 60 feriti.
9 maggio 2002 A Betlemme, si conclude l’assedio israeliano alla basilica della Natività, dopo che l’Unione europea ha stabilito che i 13 palestinesi, destinati per imposizione di Israele ad essere esiliati, saranno ospitati in vari paesi europei. I palestinesi abbandonano la basilica della Natività ed i 13 sono trasportati a Cipro con un aereo militare.
12 maggio 2002 A Betlemme, padre Michele Piccirillo, responsabile del Centro di studi biblici di Gerusalemme e di quello di documentazione storica e archeologica di Betlemme, accusa i soldati israeliani di aver devastato la sede del centro: ”Hanno spaccato le sedie, sfregiato i muri, usato persino un quadro di Cristo come passerella nei gabinetti”.
14 maggio 2002 A Hebron, due alti ufficiali palestinesi sono uccisi a sangue freddo, alle 04.00 del mattino mentre dormono, da militari israeliani penetrati nelle loro abitazioni. Secondo gli israeliani si trattava di ‘terroristi’.
20 maggio 2002 A Beirut, con una bomba nella sua vettura viene ucciso Jihad Jibril, capo militare del Fronte popolare per la liberazione della Palestina. Unanime il convincimento che gli autori dell’omicidio siano da individuare nel governo israeliano e nei suoi servizi segreti.
22 maggio 2002 A Tel Aviv, un nuovo attentato suicida provoca 3 morti e 30 feriti, dopo che a Nablus la cannonata di un carro armato israeliano aveva ucciso 4 palestinesi, fra i quali un dirigente delle brigate Martiri al Aqsa.
5 giugno 2002 A Megiddo (Israele), un combattente islamico compie un attentato suicida contro un autobus carico di soldati israeliani, provocando 17 morti e 40 feriti. L’attacco si verifica nell’anniversario dell’inizio della guerra dei sei giorni (5 giugno 1967). Per rappresaglia, almeno 50 carri armati israeliani sono penetrati a Ramallah e Jenin scatenando una caccia all’uomo.
16 giugno 2002 Israele inizia la costruzione del Muro che dovrà separare il suo territorio da quello della Cisgiordania con la motivazione della sicurezza. Il Muro permetterà di confiscare altre terre palestinesi e rendere definitivo il regime di apartheid.
18-19 giugno 2002 A Gerusalemme, in un attentato suicida contro un autobus, perdono la vita 19 persone e altre 50 rimangono ferite. Il giorno seguente, un attentato suicida provoca la morte di 7 persone ed il ferimento di altre 40. Mentre il governo Sharon predispone l’ennesima feroce rappresaglia sulla popolazione civile palestinese, l’israeliano pacifista Abraham Yehoshua, nel corso di un convegno a Tel Aviv, afferma: ”I palestinesi non sono il primo popolo che gli ebrei hanno fatto impazzire. Abbiamo visto cosa è successo con i tedeschi”.
19 giugno 2002 In Vaticano, Giovanni Paolo II esprime la sua “più assoluta riprovazione” per gli attentati suicidi commessi dai combattenti islamici contro Israele, e aggiunge che i responsabili dovranno “risponderne davanti a Dio”. Nessun commento però viene dal papa sulle stragi commesse dagli israeliani con i caccia, gli elicotteri e i carri armati.
21 giugno 2002 A Gerusalemme, il governo Sharon ordina la rioccupazione militare dei Territori palestinesi a tempo indeterminato, vanificando definitivamente gli accordi di Oslo con la sostituzione di fatto dell’amministrazione civile palestinese con quella israeliana. A Jenin, intanto, i mezzi corazzati aprono il fuoco sulla folla intenta a fare acquisti nella piazza del mercato provocando l’ennesima strage.
29 giugno 2002 A Hebron, i genieri israeliani fanno saltare con almeno due tonnellate di esplosivo l’edificio che ospitava gli uffici dell’Autorità nazionale palestinese. Nulla si sa ufficialmente dei 15 militanti palestinesi che si trovavano nell’edificio, letteralmente polverizzato dall’esplosione.
30 giugno 2002 A Nablus, reparti speciali israeliani uccidono il dirigente di Hamas Muhamad al Taher.
4 luglio 2002 A Gaza, ennesimo omicidio compiuto dai servizi segreti israeliani. A morire, nell’esplosione della loro macchina, sono il dirigente del Fatah Jihad al Omarayn e suo nipote Wail al Namara.
22 luglio 2002 A Gaza, un caccia F-16 israeliano lancia un missile contro l’abitazione di Salah Mustafa Mohammad Shehad, ritenuto il capo militare di Hamas, ubicata in un agglomerato urbano popolare, provocando una strage di civili (15 morti, fra i quali 9 bambini, e 150 feriti). Fra i morti anche l’esponente di Hamas, ucciso con un attacco deliberatamente stragista.
1 agosto 2002 A New York, il segretario generale dell’Onu rende pubblico il rapporto sul massacro di Jenin perpetrato dagli israeliani fra il 29 marzo e il 21 aprile 2002. Il rapporto si basa sulle ‘prove emerse’, cioè su quelle fornite dagli israeliani che vietarono alla commissione d’inchiesta dell’Onu di recarsi sul posto. Naturale, quindi, che il numero degli uccisi palestinesi sia stabilito in 52, dei quali metà civili, come riferito dall'esercito che ha compiuto l'eccidio.
6 agosto 2002 A New York, l’assemblea generale dell’Onu approva con 114 voti a favore, 11 astenuti e 4 contrari (Stati uniti, Israele, Isole Marshall, Micronesia) una risoluzione che impone ad Israele di ritirare le proprie truppe dai Territori occupati ed esprime preoccupazione per la situazione umanitaria in cui versa la popolazione palestinese.
14 agosto 2002 A Tel Aviv, alla prima udienza del processo a suo carico, Marwan Barghouti denuncia l’inumano trattamento al quale è stato sottoposto dagli israeliani nei 120 giorni della sua detenzione e afferma che pace potrà esserci solo quando ci sarà uno Stato palestinese riconosciuto e internazionalmente garantito.
19 agosto 2002 A Baghdad, è trovato morto con ferite di colpi da arma da fuoco Sabri al Bana, noto come Abu Nidal, già collaboratore di Yasser Arafat fino al 1974 e ritenuto uno dei più determinati dirigenti della guerriglia palestinese.
20 agosto 2002 A Ramallah, una unità speciale dell’esercito israeliano uccide, nella sua abitazione, Mahmud Saadat, fratello del leader del Fronte popolare per la liberazione della Palestina.
29-31 agosto 2002 A Gaza, dopo aver massacrato un’intera famiglia bombardandone l’abitazione, l’esercito israeliano uccide due bambini di 12 e 14 anni nel corso di una manifestazioni di protesta. Due giorni dopo, l’ennesima strage di bambini palestinesi è perpetrata dai militari israeliani che sparano missili da elicotteri Apache per uccidere un capo locale di un gruppo armato palestinese a Tubas: 4 i bambini morti, due di 15 anni, uno di 10 e l’altro di 9. In tutto il mese di agosto, sono 54 i palestinesi uccisi in operazioni “mirate” dagli israeliani e 180 quelli feriti.
1 settembre 2002 A Hebron, i militari israeliani uccidono 4 operai palestinesi che rientravano nelle loro abitazioni, provvisti solo dei loro attrezzi di lavoro.
30 settembre 2002 A Nablus (Cisgiordania), mezzi corazzati israeliani aprono il fuoco su una folla di bambini ed adolescenti che manifestano contro la repressione attuata dagli israeliani, uccidendo due bambini di 10 anni e ferendone diverse decine.
7 ottobre 2002 A Khan Yunis, nella striscia di Gaza, l’esercito israeliano irrompe in un campo profughi palestinese aprendo indiscriminatamente il fuoco. Muoiono 14 civili e molti altri rimangono feriti. La giustificazione di Sharon è la solita: ”Cercavamo terroristi”.
1 dicembre 2002 A Gerusalemme, il primo ministro israeliano Ariel Sharon e il ministro degli Esteri Benjamin Netanyahu smentiscono le dichiarazioni fatte dall’ambasciatore israeliano all’Onu, Yehuda Lancry, secondo il quale Israele intende convivere con uno Stato autonomo palestinese: “Due Stati- ha detto l’ambasciatore- che vivono a fianco in pace e in sicurezza”. Ora la smentita e la decisione di aprire un’inchiesta.
26 dicembre 2002 A Betlemme, l’esercito israeliano rioccupa la città provocando gravissimi scontri con la popolazione. In totale i palestinesi uccisi dagli israeliani sono 10 e 16 sono gli arrestati con generiche motivazioni.
31 dicembre 2002 Ammontano a 2.810 morti, in grande maggioranza palestinesi, le vittime del conflitto iniziato nel settembre 2000 per le provocazioni di Ariel Sharon.
31 dicembre 2002 I coloni israeliani nei Territori, a questa data, sono circa 220.100.
5 gennaio 2003 A Tel Aviv, due militanti palestinesi compiono un attentato suicida che provoca 23 morti e più di 100 feriti. Il governo Sharon annuncia che darà seguito a una durissima rappresaglia contro la popolazione palestinese, puntualmente eseguita con raid, massacri ed arresti.
26 gennaio 2003 In Palestina, nella imminenza delle elezioni politiche israeliane, l’esercito lancia un’offensiva contro la popolazione civile palestinese uccidendo 14 persone, fra le quali un bambino di 7 anni, e ferendone più di 60.
28 gennaio 2003 A Gerusalemme, vince le elezioni politiche il Likud, la formazione di destra guidata da Ariel Sharon, mentre i laburisti - che avevano impostato la campagna elettorale sulla necessità di riprendere il dialogo con i palestinesi- registrano una secca sconfitta. L’Autorità palestinese lancia subito un accorato appello alla “comunità internazionale” chiedendo l’invio immediato di osservatori nei Territori, per evitare altri massacri. Ma nessuno interviene e le azioni omicide dell'esercito si susseguono puntualmente, insieme alla demolizione di abitazioni e all’ordine di chiusura totale dei Territori.
21 febbraio 2003 Commentando le incursioni e gli eccidi compiuti dagli israeliani nei Territori, Amr Moussa, segretario della Lega araba, afferma: “Israele può commettere atti violenti nella più assoluta impunità, cosa che nessun altro al mondo può fare, può ignorare le risoluzioni del Consiglio di sicurezza, dispone di ingenti quantità di armi di distruzione di massa. Tutta la popolazione araba è pesantemente oltraggiata da quanto accade ogni giorno nei Territori”.
8 marzo 2003 Yasser Arafat approva la controversa nomina a primo ministro di Abu Mazen, il dirigente più gradito agli israeliani, ed invita i militanti e la popolazione a cessare gli attacchi contro gli occupanti per spezzare –afferma il leader palestinese- la spirale di violenza.
24-25 marzo 2003 A Jenin, nel corso di un'incursione israeliana, sono uccisi 3 bambini palestinesi. Due militanti di Hamas ed un’altra bambina vengono ammazzati a Betlemme.
29 marzo 2003 “The Independent” scrive che esperti statunitensi stanno studiando “le tecniche israeliane di combattimento urbano” per prepararsi ad analogo ‘lavoro’ in Iraq. Fra gli oggetti di ‘studio’ vi è il massacro di Jenin, perpetrato dagli israeliani fra il 29 marzo e il 21 aprile 2002.
6 aprile 2003 A Tel Aviv, riprende il processo contro il leader del Fatah, Marwan Barghouti, arrestato l’anno scorso con l’accusa di ‘terrorismo’. “Questo non è un processo ma una vergogna, questa non è una Corte –afferma l’esponente palestinese- rappresenta solo gli occupatori ed io non parteciperò a questa farsa. L’unica corte che io sono disposto a riconoscere è una corte internazionale che giudichi i crimini di guerra da voi perpetrati”. In queste stesse ore, nella striscia di Gaza, le forze israeliane assaltano il villaggio di al Mugasi e ne deportano la popolazione maschile.
aprile 2003 A proposito della Road map (l’ultimo piano di pace, gradito all’amministrazione americana che prevede, in cambio della cessazione della resistenza palestinese e della rinuncia al ritorno degli esuli, riconoscimenti territoriali che sfocerebbero nella creazione di una entità palestinese entro il 2005), Faruk Kaddhumi ricorda che solo i palestinesi, e non Israele, hanno dato la propria disponibilità al dialogo, che manca un intermediario imparziale ed aggiunge : “Ci si deve domandare come si può chiedere ad un popolo, il cui diritto all’autodeterminazione viene negato, di partecipare alla realizzazione di questo piano. Il diritto a tornare nel proprio paese poi- aggiunge il ministro degli Esteri palestinese- nella propria casa e nei propri beni è inalienabile” citando in proposito le numerose dichiarazioni dei diritti che lo contemplano e gli stessi accordi di Oslo, disattesi da Israele anche su questo punto.
29 maggio 2003 Anche nel giorno fissato per un incontro fra Ariel Sharon ed Abu Mazen, gli israeliani compiono raid a Nablus e Tulkarem, compiendo arresti ed uccidendo 2 palestinesi.
1-7 giugno 2003 Si svolge il doppio vertice ad Aqaba e Sharm el Sheick, che discute il processo di pace basato sulla Road map. Nel frattempo, continuano le incursioni nei Territori. Israele, pur costretta a rilasciare 91 palestinesi, ne arresta 12 e ne ferisce diverse decine durante le incursioni, fa blindare Jenin, Balata e Nablus. Un’altra bambina viene uccisa. I dirigenti di Hamas, Jihad islamica e Fplp non condividono le conclusioni del vertice, che richiedono sacrifici ai soli palestinesi. Il dirigente di Hamas Abdelaziz Rantisi censura duramente il primo ministro palestinese, Abu Mazen, che in un discorso ha affermato la propria comprensione per le “sofferenze degli israeliani” in conseguenza degli attacchi della resistenza islamica, senza parlare degli eccidi commessi dagli occupanti.
12 giugno 2003 Kofi Annan afferma che, essendo israeliani e palestinesi incapaci di dialogo, occorre “una forza di pace armata con funzioni di interposizione”. La reazione di Israele, contraria a qualunque controllo sulle proprie azioni, zittisce il segretario delle Nazioni unite.
30 giugno 2003 Al Cairo, è siglata una fragile tregua estiva. In cambio della rinuncia palestinese a compiere attentati, Israele libera un gruppo di prigionieri e promette il ritiro da una piccola zona nel nord di Gaza.
Luglio 2003 Mohammed Dahlan, esponente del Fatah, scrive una lettera al ministro della Difesa israeliano Saul Mofaz per informarlo, in modo servile, dei progressi nel disegno di rovesciare Yasser Arafat e la leadership palestinese per sostituirla con una collaborazionista, dei “tentativi di polarizzare le opinioni dei membri del consiglio tramite intimidazioni e tentazioni così che essi siano al nostro fianco e non al suo” dicendosi “certo che i giorni di Yasser Arafat sono contati” benché chieda “permetteteci di finirlo alla nostra maniera e non alla vostra”. In Italia la lettera sarà resa nota da 'il Manifesto'.
5 agosto 2003 Abdelaziz Rantisi, dirigente di Hamas, dichiara ad 'Arab monitor’ che la proposta, gradita agli americani, di amnistia generale per i prigionieri politici in cambio della rinuncia alla resistenza, “è un’offerta sfrontata” che sarebbe rifiutata dagli stessi prigionieri. “Il nostro paese è stato rubato – aggiunge il leader di Hamas - e noi combattiamo per liberarlo”.
6 settembre 2003 Nei Territori palestinesi, lo sceicco Yassin, leader spirituale di Hamas, gravemente infermo, è fatto oggetto di un attentato israeliano.
7 settembre 2003 Il presidente dell’Autorità palestinese Yasser Arafat designa, come successore del dimissionario Abu Mazen, Suleiman Ahmed Qurei (Abu Ala), che fu tra gli artefici degli accordi di Oslo e mediatore fra le componenti palestinesi.
9 settembre 2003 Dopo due attentati suicidi, compiuti a Tel Aviv e a Gerusalemme e rivendicati dalle brigate Ezzedine al Qassam, il nuovo leader Abu Ala dichiara di condannare tutti gli attacchi ai civili, sia israeliani che palestinesi ed aggiunge: “Lavorerò per la pace ma non accetterò i diktat israeliani su cosa devo fare o non fare”.
11 settembre 2003 A Ramallah, le forze israeliane requisiscono il palazzo che ospita il quartier generale di Yasser Arafat, considerato da Israele “un ostacolo assoluto sulla strada della pace che occorre rimuovere”, così come si procederà alla “eliminazione delle organizzazioni terroristiche /cioè le componenti della resistenza armata Ndr/ adottando tutte le misure appropriate contro i loro leader, comandanti e membri, finché la loro attività criminale non sarà fermata”. Migliaia di palestinesi si riversano sulle strade manifestando la loro solidarietà al leader dell’Anp. Contrarietà alla deportazione di Arafat sono espresse dall’Europa, particolarmente dalla Francia, e dagli stessi Usa, per motivi di opportunità. Così si esprime Colin Powell: “La espulsione servirebbe solo a dare ad Arafat un palcoscenico più grande e mondiale per operare da fuori della regione”. Secondo un sondaggio pubblicato dal quotidiano Yedioth Ahronot, il 37% degli ebrei israeliani è favorevole alla uccisione di Yasser Arafat, il 23% opta per la sua espulsione, il 21% perché resti relegato a Ramallah.
19 settembre 2003 Dopo il veto statunitense alla proposta di risoluzione del Consiglio di sicurezza, che invita Israele a non deportare Yasser Arafat, l’assemblea delle Nazioni unite vota una mozione che chiede la revoca della decisione di espulsione e deplora sia la politica israeliana di omicidi mirati sia gli attentati suicidi palestinesi, con 133 voti a favore, 4 contrari e 15 astenuti.
25 settembre 2003 A Gaza, uno dei tanti raid israeliani uccide 7 palestinesi nel campo profughi di El Bureij, fra i quali una bimba.
28 settembre 2003 Nel terzo anniversario dell’Intifada, Israele dà il via alla seconda fase della costruzione del Muro che chiude i Territori con la motivazione ufficiale della sicurezza e l’intento reale di appropriarsi di altra terra palestinese ed irrigidire l'apartheid.
4 ottobre 2003 Ad Haifa, come ritorsione ai raid israeliani –l’ultimo del quali ha ucciso una bimba di 9 anni nel campo profughi di Tulkarem- un attentato suicida, compiuto da una donna, provoca 19 morti israeliani e decine di feriti. La rappresaglia israeliana è furiosa e si abbatte anche sul campo profughi di el Zahab, in Siria, bombardato con F16.
15 ottobre 2003 Nella striscia di Gaza, un ordigno dinamitardo esplode al passaggio di un convoglio americano, provocando la morte di 3 agenti. L’Autorità palestinese fa arrestare 8 persone.
20 ottobre 2003 Quattro raid israeliani, di cui 3 su Gaza, uccidono 8 palestinesi, fra i quali due militanti di Hamas. I raid omicidi degli occupanti continuano, implacabili, nei giorni seguenti.
22 ottobre 2003 L’Assemblea generale dell’Onu vota con 144 voti favorevoli e 4 contrari – fra i quali Usa ed Israele- la condanna per la costruzione del Muro. Il governo Sharon, forte dell’appoggio americano, dichiara che essa continuerà. In queste stesse ore, sono uccisi 3 palestinesi.
Ottobre 2003 La divulgazione di un sondaggio promosso dall’Unione europea e condotto da Gallup Europe fra l’8 e il 16 ottobre svela fra l’altro che Israele è in testa ai paesi giudicati dagli europei un pericolo per la pace. Le reazioni israeliane sono furibonde e martellanti nei confronti dei vertici europei, per i quali il centro Wiesenthal chiede la “esclusione dal processo di pace in Medio Oriente”. Il presidente della Commissione europea, Romano Prodi, esplicita “preoccupazione” per la “sopravvivenza di un pregiudizio che deve essere condannato senza esitazione”, nella consueta simulazione che la condanna della politica coloniale dello Stato ebraico sia espressione di ‘antisemitismo’.
7-8 novembre 2003 Altre giornate di sangue palestinese. A Nablus e Jenin, vengono uccisi due militanti delle brigate Martiri di al Aqsa, altri due palestinesi sono freddati presso il confine , fra essi un ragazzino di 11 anni, due altri ancora nel campo profughi di al Maghazi. Il giorno seguente, 4 palestinesi muoiono colpiti dal fuoco israeliano, mentre continuano le demolizioni, finalizzate a scacciare i palestinesi dalla loro terra.
19 novembre 2003 Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite approva il progetto di Road map invitando le due parti in conflitto ad adempiere ai propri obblighi e ricercare il dialogo, in collaborazione con il Quartetto (Unione europea, Usa, Russia e le stesse Nazioni unite).
21 novembre 2003 Mentre nei Territori continuano i raid, le eliminazioni fisiche e le demolizioni di case, caccia israeliani sorvolano provocatoriamente il Libano nell’anniversario dell’indipendenza del paese.
1 dicembre 2003 A Ginevra è siglato un simbolico accordo, ampiamente pubblicizzato, fra un gruppo palestinese, guidato da Yasser Abed Rabbo, ed alcuni pacifisti israeliani guidati da Yossi Beilin. L’accordo virtuale prevede la creazione di uno Stato palestinese indipendente sui territori occupati da Israele dal 1967, con l’esclusione delle “zone densamente popolate” da coloni ebrei (larga parte della Cisgiordania), la spartizione di Gerusalemme in due parti, entrambe capitali dei rispettivi Stati, la monetizzazione della rinuncia al ritorno dei profughi palestinesi. Il progetto viene scartato sia dal governo israeliano sia dalle componenti maggioritarie della resistenza palestinese, Hamas e Jihad, che lo giudicano rinunciatario al pari della Road map. Non si arresta intanto l’aggressione israeliana che uccide in queste ore un bambino di 9 anni ed altri 3 palestinesi, ed arresta diverse persone, fra le quali il capo religioso Fadel Saleh.
8 dicembre 2003 L’Assemblea delle Nazioni unite ribadisce a maggioranza la condanna per la costruzione del Muro che chiude i territori palestinesi e si pronuncia per il deferimento di Israele alla Corte dell’Aja per la violazione delle risoluzioni internazionali. Per tutta risposta il governo israeliano divulga, in questi stessi giorni, il c.d. ‘piano Sharon’ che prevede lo smantellamento di alcuni insediamenti colonici e la progressiva restituzione ai palestinesi di parte dei territori occupati che potrebbe giungere al 30-40% circa, in via unilaterale e senza negoziazione. Altri esponenti, Benjamin Netanyahu ed Ehud Olmert, in due separate interviste, si dicono preoccupati della crescita demografica degli arabi israeliani, vista come minaccia al ‘carattere ebraico’ di Israele.
11 dicembre 2003 Soldati israeliani uccidono, nel martoriato campo profughi di Ramah, 6 palestinesi e riducono in fin di vita un bimbo; anche un infermiere viene ucciso, mentre cercava di soccorrere un ferito. Le brigate Al Aqsa, dal canto loro, feriscono un gruppo di ebrei di una setta mistica in preghiera presso la tomba di Giuseppe, a Nablus. L’attentato è seguito da una dura rappresaglia che si estende a Jenin. Uccisioni e raid israeliani si susseguono nei giorni seguenti, mietendo altre vittime palestinesi, fra cui bambini.
23 dicembre 2003 Israele reagisce rabbiosamente ad un attacco della resistenza, che ha ucciso 2 soldati occupanti, ammazzando 8 persone e facendo decine di feriti a Rafah, scacciando altre decine dalle proprie case; l’attacco si allarga al campo profughi di Tulkarem. L’aggressione continua senza soste sino a fine anno.
31 dicembre 2003 A questa data, il numero dei palestinesi che vivono nei Territori è di 3.700.000, dei quali 1.400.000 a Gaza e 2.300.000 in Cisgiordania. Un altro milione vive in Israele.
4 gennaio 2004 Il primo ministro palestinese Abu Ala lancia un accorato appello: “Quando i palestinesi compiono un’operazione contro Israele il mondo intero li condanna, ma quando gli israeliani ci attaccano il mondo tace”. In una sola giornata, sono stati uccisi 4 palestinesi a Nablus e diversi edifici della città assediata sono stati rasi al suolo.
14 gennaio 2004 Ad Erez, una giovane palestinese si fa esplodere, provocando la morte di 4 soldati ed il ferimento di altri israeliani. L’attentato è rivendicato sia dalle brigate Martiri di al Aqsa che da Hamas.
28-29 gennaio 2004 A Gaza, l’ennesima strage israeliana miete 13 vittime palestinesi, fra le quali un bambino. Pochi giorni orsono, è toccato ad un altro bambino di 12 anni e a una donna. Il giorno seguente, a Gerusalemme, un attentato suicida rivendicato dalle brigate al Aqsa uccide 10 persone.
29 gennaio 2004 Nella capitale libanese, si è concluso lo scambio dei prigionieri, trattato da intermediari, fra Israele e l’Hezbollah. Sono stati liberati 429 prigionieri arabi di diverse nazionalità, mentre la milizia libanese ha restituito allo Stato ebraico alcune salme ed un potente collaboratore dei servizi, Elhanan Tennenbaum.
31 gennaio 2004 Il responsabile dell’agenzia dell’Onu per l’assistenza ai profughi, Peter Hansen, rende noto che in un solo mese a Rafah sono state demolite 72 abitazioni, con oltre 500 nuovi senzatetto.
2 febbraio 2004 In una lettera alla Corte de l’Aja, l’Unione europea afferma che una condanna di Israele sul Muro “non aiuterebbe le parti a riprendere il dialogo” e sarebbe pertanto “inopportuna”.
6 febbraio 2004 Il primo ministro israeliano, Ariel Sharon, a proposito del ritiro unilaterale da Gaza, precedentemente annunciato in termini generici, precisa che 7.500 coloni stanziati a Gaza saranno trasferiti: non in Israele, bensì in altre zone dei Territori e prevalentemente in Cisgiordania. Sharon ha inoltre annunciato che amplierà gli insediamenti colonici nel Golan siriano, dove già risiedono stabilmente circa 15.000 ebrei.
7 febbraio 2004 Con un razzo sparato da un aereo israeliano, è ucciso Aziz Shami, esponente del Jihad. Lo ‘omicidio mirato’ uccide anche un bimbo di 11 anni ed altri 10 civili. Poche ore prima altri palestinesi sono stati uccisi a Gaza, ed arrestati 30 militanti di Hamas e Jihad. Nei giorni seguenti, gli israeliani compiono diverse altre azioni omicide che saranno vendicate, il 22 febbraio, da un attentato suicida a Gensal, rivendicato dalle brigate al Aqsa.
5 marzo 2004 L’Unione europea stanzia un milione di euro come aiuto alla ricostruzione di Gaza. Israele ha cercato negli scorsi mesi di bloccare gli aiuti europei ed Onu ai palestinesi, affermando che l’Anp li avrebbe usati, nel passato, per “finanziare il terrorismo”, peraltro smentito dall’ufficio antifrode della Ue. Il governo Sharon ha anche ordinato il sequestro di denaro palestinese presso gli sportelli bancari di Ramallah ed altre località suscitando una dura protesta - oltre che naturalmente dei palestinesi - delle autorità giordane.
8 marzo 2004 Muore, in un carcere iracheno gestito dagli americani, Abu Abbas (noto in Italia particolarmente per il sequestro della motonave Achille Lauro), ufficialmente per ‘cause naturali’ cui pochi credono. Abbas era stato arrestato a Baghdad il 15 aprile 2003. La sua memoria è celebrata in Palestina con gli onori dovuti – sono le parole di Yasser Arafat- a un “combattente straordinario, un martire che ha dedicato la vita al suo popolo”. La salma sarà ospitata nel cimitero di Yarmouk, in Siria, avendo Israele vietato la sepoltura a Ramallah.
14 marzo 2004 Come risposta all’ennesimo eccidio israeliano (5 palestinesi uccisi a Jenin, 40 uccisi nelle ultime due settimane), Hamas e le brigate Al Aqsa mettono a segno un attentato nel porto di Ashod, che provoca 12 morti. La rappresaglia israeliana segue durissima, con altri uccisi e feriti: il 20 a morire saranno un ragazzo e una bimba di 7 anni, 6 altri palestinesi a Gaza il giorno successivo, ed altri ancora.
22 marzo 2004 Per ordine del governo israeliano, viene ucciso con 3 missili sparati da elicotteri il leader spirituale di Hamas, Ahmed Yassin, mentre il religioso- anziano ed infermo- si stava recando in preghiera nella moschea di Sabra. Con lui sono uccisi, letteralmente fatti a pezzi, altri 7 palestinesi. Centinaia di migliaia di persone si riversano per le strade, a portare omaggio al capo spirituale più amato e gridare dolore e vendetta. Il pellegrinaggio e imponenti manifestazioni continueranno nei giorni seguenti.
24 marzo 2004 Nonostante la dichiarata intenzione del governo israeliano di proseguire nella eliminazione fisica del vertice di Hamas, l’organizzazione designa pubblicamente il successore di Yassin, Abdelaziz Rantisi, che dichiara di non temere Israele e di essere pronto a morire per il suo popolo.
30 marzo 2004 Il responsabile dell’agenzia Onu per l’assistenza ai profughi, Peter Hansen, annuncia che dovrà interrompere la distribuzione alimentare nei Territori, causa i continui divieti e gli ostacoli posti dalle truppe israeliane ai convogli umanitari. Hansen conferma che la malnutrizione riguarda almeno un quarto della popolazione palestinese.
2 aprile 2004 La polizia israeliana occupa la Spianata delle moschee e provoca i mussulmani presenti che rispondono con una sassaiola. La polizia spara ferendo almeno 20 persone- 2 sono gli uccisi presso la moschea Al Aqsa- ed opera 15 arresti. Sharon torna a minacciare il presidente dell’Anp, Yasser Arafat.
10-12 aprile 2004 Ancora una piccola vittima a Gaza, una bimba palestinese uccisa da una pallottola israeliana mentre si trovava nella sua abitazione. Sempre a Gaza, altri 3 ragazzini sono uccisi dagli occupanti due giorni dopo. In questi stessi giorni, è divulgato il risultato di un sondaggio commissionato ad un centro studi operante presso l’università di Tel Aviv, secondo il quale il 74% degli ebrei israeliani approvano la politica degli “omicidi mirati”, giustificandola con “motivi di sicurezza” e la ritengono conforme altresì alle norme della loro religione.
13 aprile 2004 I responsabili dei beni culturali degli stati arabi denunciano la distruzione, da parte di Israele, dei monumenti palestinesi e particolarmente del centro storico di Nablus, che conteneva prima dell’aggressione importanti opere dell’arte islamica e bizantina; e la drammatica situazione delle scuole palestinesi, gran parte delle quali chiuse dagli occupanti o soggette ad incursioni e vessazioni di ogni genere, così da togliere ai bambini palestinesi anche il diritto all’istruzione.
14 aprile 2004 Il presidente americano George Bush, in una conferenza stampa congiunta con Ariel Sharon, in visita negli Stati uniti, dichiara che “alla luce della nuova realtà sul campo, compresa l’esistenza di grossi centri popolati da ebrei, è irrealistico attendersi che la conclusione di un processo negoziale possa consentire il ritorno totale alla linea di armistizio del 1949”. Alla vigilia della sua partenza per Washington, Sharon aveva dichiarato: “Per certo, Israele non tornerà mai ai confini del 1967”. La svolta americana sui confini è sancita in una lettera di Bush a Sharon che diverrà il principale strumento israeliano per violare le risoluzioni dell’Onu in materia e legalizzare le colonie e le confische di terra palestinese.
17 aprile 2004 A Gaza, 2 missili lanciati da un elicottero israeliano uccidono il leader di Hamas, Abdelaziz Rantisi. Mentre la folla si riversa sulle strade per gridare la sua indignazione, il primo ministro israeliano Ariel Sharon, di ritorno da Washington, esprime compiacimento per la riuscita dell’azione omicida e dichiara di avere messo bene in chiaro, nel suo incontro con Bush, di ritenersi libero riguardo all’incolumità dello stesso presidente palestinese, Yasser Arafat.
19 aprile 2004 Osama Hamdan, portavoce di Hamas, si dice certo che Sharon abbia illustrato i suoi piani a Bush e questi abbia “dato luce verde” all’uccisione di Abdelaziz Rantisi. Hamdan, in una intervista ad 'Arab monitor', chiede all’Autorità palestinese di dichiarare apertamente “che è stata assassinata la questione palestinese, col sostegno americano ai piani di Sharon” – e quindi ogni possibilità di negoziato- e di affermare per contro altrettanto “chiaramente che il dialogo palestinese va continuato e rafforzato”. Ai paesi arabi “chiediamo che difendano i palestinesi, che difendano la nostra resistenza…Che elaborino una nuova strategia per combattere contro Israele” .
20-23 aprile 2004 Ventitrè palestinesi sono stati uccisi in soli 3 giorni dalle truppe occupanti. Fra essi, due bambine di 4 e 7 anni e 3 membri di Al Fatah.
27 aprile 2004 Soldati israeliani uccidono a Ramallah due esponenti delle brigate Ezzedine al Qassam, milizia di Hamas. Ieri nella stessa cittadina è toccato ancora ad una bimba.
10 maggio 2004 I ministri degli Esteri della Lega araba inviano un messaggio al presidente americano per invitarlo a rispettare le risoluzioni dell’Onu e l’impegno alla creazione di uno Stato palestinese indipendente entro il 2005, previsto dalla Road map. Ma George Bush replica: “Penso che il calendario del 2005 non sia più realistico”.
11 maggio 2004 A questa data, le vittime del conflitto scatenato dalla provocazione di Sharon, il 28 settembre 2000, sono 3.995, di cui 3.014 palestinesi.
11-15 maggio 2004 A Gaza, uno dei quotidiani raid israeliani appoggiato da elicotteri da guerra uccide 7 palestinesi. Anche la resistenza palestinese mette a segno un attacco: un carro armato salta su una mina, 6 soldati restano uccisi, ed i loro corpi sono mostrati alla folla esultante da militanti di Hamas. Il giorno seguente, a Rafah, un altro attentato della resistenza colpisce un blindato israeliano uccidendo 5 soldati. La rappresaglia israeliana è brutale. Con carri armati ed aerei da guerra, le truppe occupanti sfogano il loro livore distruggendo, non solo le officine sospettate di produrre le rudimentali armi della difesa palestinese, ma un intero quartiere alla periferia di Gaza. In soli 4 giorni sono uccisi 30 palestinesi e non si contano i feriti. Il presidente palestinese Yasser Arafat lancia appelli per fermare la “catastrofe umanitaria”, accorati quanto inutili.
16 maggio 2004 L’Alta Corte israeliana, respingendo il ricorso di un gruppo di palestinesi di Rafah che chiedeva di fermare i bulldozer, afferma la liceità della distruzione di case civili, considerata crimine di guerra dalla convenzione di Ginevra. Ricevuto l’avallo della Corte, il ministro della Difesa israeliano Saul Mofaz ed i responsabili militari annunciano che saranno demolite le restanti abitazioni di Rafah, al confine fra Gaza e l’Egitto, per creare una ‘fascia di sicurezza’ controllata dall’esercito. Molti abitanti si affrettano all’esodo, raccogliendo le povere cose ed accampandosi in tende.
17-24 maggio 2004 Nella notte, con ingenti mezzi bellici protetti da aerei da guerra, le truppe occupanti riprendono la distruzione di Rafah. Quindici sono i morti solo nella prima giornata, per lo più civili, fra cui un gruppo di fedeli presso la moschea, ed alcuni militanti che, con le rudimentali armi a disposizione, cercano di proteggere il campo dalla distruzione; altri morti il giorno successivo, cui si aggiungono 9 morti e decine di feriti nella mattina del 19. Nelle ore successive, le truppe di occupazione aprono il fuoco sui civili, uccidendo e ferendo i manifestanti che si dirigono verso Rafah, tra cui molti bambini. Inviati della Reuters e della Bbc descrivono l’orrore: “corpi a terra con gli intestini di fuori ed i volti coperti di sangue”, come coperti di sangue sono i pavimenti dell’ospedale, dove i feriti sono stati sistemati per terra perché oramai mancano i letti per accoglierli. Nella notte sono uccisi altri 7 palestinesi, altri nei giorni successivi salendo così a 43 il numero dei morti, centinaia i feriti. Yasser Arafat grida al genocidio ed alla necessità di forze di interposizione per bloccarlo. Dure condanne vengono dalla Lega araba, dalle Nazioni unite e dall’Europa ma nessuno, concretamente, si muove per fermare il massacro. Il governo israeliano parla di ‘incidente’ per l’eccidio dei civili e, per bocca del generale Ruth Yaron, annuncia che l’operazione ‘Arcobaleno’ continua.
23 maggio 2004 A Roma, in occasione della festa della Sinagoga, Giovanni Paolo II ricorda le persecuzioni subite dagli ebrei, mentre cita in subordine, con un solo cenno, i palestinesi (“troppo sangue innocente versato da israeliani e palestinesi”).
23 maggio 2004 Nel corso della riunione del Consiglio dei ministri israeliano, a Gerusalemme, il ministro della Giustizia Yosef Lapid chiede di fermare l’operazione Arcobaleno, che sta conducendo Israele all’isolamento internazionale, ed aggiunge: “Ho visto in Tv una vecchia palestinese frugare fra le macerie della sua casa a Rafah e mi sono ricordato di mia nonna, espulsa dalla sua casa durante l’Olocausto”. Gli esponenti del Likud insorgono contro il ministro, che si vede costretto a rettificare le sue affermazioni.
24 maggio 2004 A questa data, nella operazione 'Arcobaleno', sono 46 i palestinesi uccisi a Rafah dalle truppe di occupazione, fra cui 5 bambini, mentre 70 sono i feriti in gravi condizioni ed altre decine più lievemente. I militi israeliani hanno sparano dai tank anche sul corteo funebre, causando la morte di altre 2 persone.
26 maggio 2004 L’operazione ‘Arcobaleno’ ha causato la reazione, fra gli altri, del governo turco presieduto da Erdogan, che ha definito terroristica la politica israeliana nei Territori ed ha richiamato il proprio ambasciatore in Israele, annunciando al tempo stesso l’apertura di un’ambasciata presso l’Autorità palestinese. Il presidente palestinese, in un’intervista alla televisione ‘Canale 10’, si dice pronto a “tendere la mano” ad Ariel Sharon e ad intervenire alla Knesset, pur di fermare i massacri e salvare la ‘Road map’.
6 giugno 2004 A Gerusalemme il governo israeliano approva, con lo scarto di un solo voto (11 contro 10), il piano Sharon di progressivo disimpegno da Gaza. Il risultato è stato reso possibile operando la destituzione di due componenti il Consiglio dei ministri, Lieberman ed Elon, entrambi del Partito di unione nazionale, mentre la opposizione di Netanyahu (Finanze), Shalom (Esteri) e Livnat (Educazione) è parzialmente rientrata, in cambio di un peggioramento del piano per quanto riguarda i palestinesi e di garanzie per i coloni ebraici. Dopo il voto, Ariel Sharon promette ai coloni che lasceranno gli insediamenti di Gaza entro l’anno in corso cospicui risarcimenti, avvertendo al tempo stesso che i recalcitranti saranno comunque evacuati nell’autunno 2005 senza ricevere indennizzi.
6 giugno 2004 La Corte distrettuale di Tel Aviv condanna Marwan Barghouti ai 5 ergastoli richiesti dalla pubblica accusa (uno per ogni morto addebitatogli come ‘mandante’ di 3 diversi attentati) ed ulteriori 40 anni di pena aggiuntiva per aver “attentato alla sicurezza dello Stato”.
18 giugno 2004 In un’intervista concessa al quotidiano israeliano “Haaretz”, Yasser Arafat illustra il contro- piano palestinese, che prevede il ritiro israeliano dal 97-98% dei Territori (esclusa cioè una zona della Cisgiordania densamente popolata da ebrei), con uno scambio di terre equivalente per la zona restante, il reciproco riconoscimento fra i due Stati, israeliano e palestinese, quest’ultimo con capitale a Gerusalemme est ed avente sovranità sulla Spianata delle moschee. Circa il ritorno dei profughi, il presidente palestinese spiega che molti esuli sono ormai stabilmente stanziati in altri Stati e la questione riguarda prevalentemente i profughi nel Libano, che si trovano in situazioni di particolare indigenza.
30 giugno 2004 La Corte suprema israeliana, investita del ricorso di un gruppo di palestinesi, alcuni dei quali residenti a Nuaman, contro le requisizioni delle loro terre operate in occasione della erezione del Muro, dichiara la parziale illegittimità di quest’ultimo, limitatamente ad alcuni chilometri. In questi giorni sono compiute nuove incursioni israeliane su Gaza, nelle quali perdono la vita diversi palestinesi.
9 luglio 2004 La Corte internazionale dell’Aja, con 14 voti favorevoli contro 1 (il giudice statunitense), dichiara illegittimo il Muro costruito da Israele in quanto limita il libero spostamento dei cittadini palestinesi ed integra una “annessione di fatto”. Israele ribadisce, come già annunciato preventivamente dal ministro degli Esteri Silvan Shalom, che non rispetterà la decisione ed il portavoce di Sharon, Raanan Gissin, afferma che essa “troverà spazio nella pattumiera della storia”. Immediatamente dal governo ebraico parte la richiesta agli Usa di bloccare qualunque risoluzione del Consiglio di sicurezza volta ad obbligarlo a smantellare il Muro.
17 luglio 2004 Yasser Arafat annuncia la riforma dell’apparato di sicurezza, affidandone l’incarico al proprio cugino, Mussa Arafat, persona già accusata per corruzione. Ciò fornisce il pretesto per gli oppositori di Arafat, che si riconoscevano nel governo di Abu Mazen, per soffiare sul malcontento, chiedere le dimissioni dello stesso Arafat e del suo entourage, l’arresto dei militanti di Hamas e la riapertura dei negoziati alle condizioni imposte da Israele. Arafat ritira la nomina del cugino. Ariel Sharon, senza indugi, fa una dichiarazione favorevole ai collaborazionisti, unici soggetti con i quali è disposto a trattare.
20 luglio 2004 L’Assemblea generale delle Nazioni unite approva con 150 voti favorevoli, 6 contrari e 10 astenuti una risoluzione che invita i paesi aderenti a “non riconoscere la situazione illegale scaturita dalla costruzione del Muro nel Territorio palestinese occupato”, e richiama israeliani e palestinesi a rispettare il percorso della Road Map. Dan Gillerman, rappresentante israeliano alle Nazioni unite, definisce la risoluzione “vergognosa” e critica particolarmente la Francia.
25 luglio 2004 Militi israeliani, travestiti da arabi, uccidono in un agguato 6 palestinesi accusati di essere membri delle brigate di resistenza Martiri di al Aqsa.
27 luglio 2004 Yasser Arafat annuncia la riforma degli apparati di sicurezza palestinesi, che saranno d’ora in avanti controllati dal governo (la polizia) oltre che dalla presidenza (la ‘intelligence’).
1 agosto 2004 L’avvocato arabo- israeliano Mahler Talhami, che ha presentato all’Alta Corte di Tel Aviv una petizione contro le torture praticate ai prigionieri, afferma in una intervista al quotidiano italiano “Il Manifesto” la sistematicità delle stesse negli interrogatori, con riferimento particolare al carcere poco distante da Tel Aviv, paragonato dalla stampa araba a quello di Abu Ghraib, e fornisce la cifra di 7.000 palestinesi detenuti.
4 agosto 2004 Il dipartimento di Stato americano invita i cittadini statunitensi a lasciare i Territori per l’intensificarsi delle operazioni militari israeliane che, al solito, mietono vittime. Lo stesso faranno i funzionari delle Nazioni unite, tranne l’ufficio dell’Unrwa operante a Gaza.
15 agosto 2004 I palestinesi rinchiusi nelle 27 carceri israeliane iniziano uno sciopero della fame per ottenere il rispetto dei diritti umani loro negati. In risposta, l’autorità penitenziaria da l’ordine di diminuire i liquidi consentiti ai digiunatori; e alcune direzioni carcerarie, come quella di Kfar Sava, aggiungono l’allestimento di barbecue nei cortili, così che l’odore dei cibi, giungendo ai prigionieri, ne aumenti la sofferenza.
31 agosto 2004 A Gerusalemme, in risposta ai raid omicidi e alla occupazione dei Territori, un duplice attentato kamikaze provoca 16 morti e decine di feriti su 2 autobus. In serata, gli israeliani demoliscono, ad Hebron, le abitazioni delle famiglie degli attentatori ed il giorno dopo bombardano il campo profughi di Gaza, occupato da truppe di terra.
8 settembre 2004 L’Autorità palestinese definisce “una operazione cosmetica” l’accorciamento del Muro per un breve tratto, deciso dal governo israeliano nel tentativo di sviare le condanne internazionali. Il Muro, ormai definito 'Muro dell'apartheid', è lungo ad oggi 200 Km.
26 settembre 2004 A Damasco (Siria), il Mossad uccide il leader di Hamas, Izzeldin Khalil.
29-30 settembre 2004 E' iniziata la operazione militare israeliana “Giorni del pentimento”. Al raid sionista che ha ucciso 7 arabi a Gaza, Hamas ha risposto con un attentato a Sderot, che ha provocato la morte di due ragazzi israeliani e 10 feriti. Le truppe israeliane invadono per rappresaglia il campo profughi di Jabalya, devastandolo, uccidendo 23 persone e ferendone altre decine; anche 3 militi restano uccisi nello scontro.
2 ottobre 2004 A Gaza, altri 8 palestinesi sono stati uccisi dalle truppe israeliane nel campo profughi di Jabalya, nella operazione militare contro i palestinesi denominata “Giorni del pentimento”.
11-14 ottobre 2004 A Gerusalemme, la Knesset boccia il piano Sharon di ritiro unilaterale da Gaza. Il primo ministro conferma peraltro che il piano sarà comunque attuato entro il 2005, ed al tempo stesso che proseguiranno le operazioni militari per ‘normalizzare’ la Striscia. A tal fine, nella sola giornata di oggi, i militi uccidono 5 palestinesi, raggiungendosi così la cifra di 120 vittime nella operazione “Giorni del pentimento”, in sole 2 settimane.
12 ottobre 2004 Il quotidiano israeliano “Haaretz”, ripreso in Italia da “Il Manifesto”, sotto il titolo “I cristiani di Gerusalemme desiderano che gli ebrei smettano di sputare su di loro”, informa di episodi di intolleranza contro i cristiani. Fra essi, nel corso di una processione, un colono ha sputato sulla antica croce retta dal vescovo e questa, nella rissa che ne è seguita, “si è rotta”.
13 ottobre 2004 A Gerusalemme, un rapporto del ministero degli Esteri illustra le preoccupazioni per il rafforzamento dell’Europa e la paventata maggiore autonomia della stessa dagli Stati uniti, suscettibile di “rafforzare la richiesta che Israele si conformi alle norme internazionali…e rispetti l’autorità delle Nazioni unite”, danneggiando gli interessi dello Stato ebraico.
13 ottobre 2004 A Rafah, i militi israeliani ammazzano un ragazzino intento a giocare a pallone.
14 ottobre 2004 Il relatore delle Nazioni unite sul diritto all’alimentazione, Jean Ziegler, scrive al presidente dell’Unione europea Romano Prodi chiedendo la sospensione dell’accordo di associazione Israele- Ue finché non cesseranno i soprusi nei Territori. Ziegler riferisce che l’80% dei palestinesi dipende esclusivamente, per sopravvivere, dagli aiuti internazionali – che lo Stato ebraico a più riprese ha cercato di bloccare- e che il 38% dei bambini soffre di anemia e denutrizione. Negli ultimi 2 anni, Israele ha fatto arrestare 13 dipendenti dell’Unrwa, l’agenzia Onu per i rifugiati, accusandoli di “complicità con il terrorismo”.
15 ottobre 2004 A Gerusalemme, è assolto il comandante israeliano che, nel corso di un’operazione di rastrellamento, ha crivellato di colpi una bimba di 13 anni caduta a terra, provocandone la morte sul colpo.
19 ottobre 2004 Nella Striscia di Gaza, sono 8 i morti palestinesi vittime dell’ultima incursione degli occupanti, cento le case distrutte a Jabalya. Continua intanto la tensione tra le fazioni palestinesi dopo che il cugino di Arafat, Mussa, è sfuggito ad un attentato attribuito agli uomini del collaborazionista Mohammed Dahlan.
20 ottobre 2004 Decine di esponenti religiosi ebraici si mobilitano contro il piano di ritiro da Gaza: “Espellere gli ebrei dalle loro case è un delitto –afferma il rabbino Avraham Shapira- è proibito e i soldati devono informare il loro comandante che è proibito, come dissacrare il sabato…”
21-25 ottobre 2004 Continuano le devastanti incursioni israeliane nei Territori. Con un raid omicidiario, effettuato mediante missili lanciati da un elicottero, è ucciso un leader di Hamas, Adnan al Ghoul. L’ultima rappresaglia indiscriminata ha ucciso 16 palestinesi e ne ha ferito 50.
26 ottobre 2004 La Knesset vota con 57 voti favorevoli, 45 contrari e 7 astenuti il piano ritiro da Gaza. I coloni manifestano la loro protesta davanti alla sede del Parlamento. Nei giorni scorsi, il governo Sharon ha deciso l’aumento dello stanziamento a favore dei coloni che lasceranno Gaza da 20.000 a 30.000 dollari esentasse e la pensione anticipata per coloro che perderanno il loro reddito. E’ stato anche deciso che le case dei coloni saranno distrutte per evitare che vengano utilizzate dai numerosi palestinesi rimasti senza tetto a causa delle devastazioni.
29-30 ottobre 2004 Yasser Arafat parte per la Francia, per curarsi da un male grave e misterioso che lo affligge, non appena intervenuta la ‘concessione’ israeliana, quando ormai il leader palestinese è in fin di vita. Ricoverato all’ospedale militare di Percy di Clamart, vicino Parigi, il leader palestinese riceve la visita amichevole del presidente francese Chirac. Ariel Sharon, invece, auspica la fine del mandato di Arafat e fa sapere anticipatamente di vietare anche l’ultimo desiderio del leader palestinese, la sepoltura alla Spianata delle moschee a Gerusalemme. Il controllo dell’Autorità nazionale palestinese è nel frattempo affidato al duo Abu Mazen - Abu Ala, il primo dei quali esercita la funzione di reggente, competente per i rapporti strategici, ed il secondo di capo del governo con delega alla riforma degli apparati di sicurezza.
1 novembre 2004 Mentre nei Territori si piange e si prega per il presidente palestinese, oggetto ormai di autentica venerazione, a Tel Aviv, un kamikaze 16enne del Fplp si fa esplodere nel centro della città, provocando la propria morte e quella di altre 4 persone.
6 novembre 2004 Nella notte l’esercito israeliano irrompe nel campo profughi di Jebna, con la motivazione di distruggere i tunnel scavati dalla resistenza. Due palestinesi sono stati uccisi nella giornata di ieri perché – secondo la versione dell’esercito- “tentavano di avvicinarsi a un insediamento”.
11 novembre 2004 A Gerusalemme, lo scienziato Mordechai Vanunu, rilasciato nello scorso aprile dopo una lunga carcerazione e soggetto ad una serie di restrizioni, è nuovamente arrestato dalla polizia israeliana all’interno della cattedrale di san Giorgio, con l’accusa di aver comunicato a giornalisti stranieri informazioni riservate.
11-12 novembre 2004 A Parigi, alle 03.30 del mattino dell’ultimo giorno del Ramadan, muore Yasser Arafat. Al Cairo, si svolgono funerali di Stato con solenni onori militari, già tributati alla partenza dalla Francia, alla presenza di capi di Stato, delegazioni diplomatiche di tutto il mondo, esponenti religiosi. Sono assenti i soli israeliani che considerano gli onori tributati al leader scomparso un “insulto per lo Stato ebraico”. A Ramallah, una folla enorme ha atteso il feretro del leader più amato, il padre della Palestina, fra pianti, preghiere, invocazioni di libertà: neppure il servizio di polizia riesce a trattenere la folla, che letteralmente si impadronisce del feretro e lo scorta fino alla tomba provvisoria allestita alla Muqata, coperta da terriccio prelevato dalla Spianata delle moschee.
14 novembre 2004 Presso la Muqata, Abu Mazen è oggetto di una violenta contestazione, per la sua politica remissiva verso Israele ed il suo sfavore verso la Intifada, da parte di un gruppo armato che uccide due uomini della scorta. L’azione è smentita dai principali gruppi della resistenza.
19 novembre 2004 Il quotidiano israeliano “Yedioth Ahronot” divulga alcune ‘foto- ricordo’ di militi israeliani che si trastullano con i cadaveri di palestinesi uccisi, ad uno dei quali è stata mozzata la testa. Casi dello stesso genere, oltre quelli riferiti dal giornale che concernono il battaglione Nahal Haharedi operante nella valle del Giordano, sono segnalati in altre località, da Gaza a Hebron e Jenin.
24 novembre 2004 La Corte suprema israeliana autorizza la costruzione di un altro tratto del Muro nei pressi di Gerusalemme.
3 dicembre 2004 Nel villaggio di Raba, presso Jenin, in una delle abituali incursioni israeliane, è ucciso il giovane esponente di Jihad, Mahmud Kamil, mentre giaceva a terra ferito e disarmato.
7 dicembre 2004 A Gaza - in risposta ad un attentato compiuto da Hamas per replicare alle più recenti azioni degli occupanti - aerei da guerra israeliani lanciano missili che uccidono sul colpo 4 palestinesi e ne feriscono molti altri, fra cui due bambini. Diramando la notizia la radio israeliana riporta l’ammissione di portavoce militari circa l’abitualità delle pratiche di ritorsione contro i familiari dei sospetti attentatori, ed il sequestro di civili per usarli come scudi durante le incursioni da terra.
8-11 dicembre 2004 A Rafah, soldati israeliani sparano uccidendo 5 palestinesi; il giorno seguente, un altro è ucciso mentre transitava con la sua auto, con 3 feriti: attacco diretto presumibilmente contro il leader dei comitati di resistenza Jamal Abu Samhadana, che non centra il bersaglio. Hamas e le brigate militari di Fatah rispondono piazzando un ordigno in un tunnel sottostante ad un fortino degli occupanti, che causa 4 morti fra i soldati. Yehiel Hazan, esponente del Likud, così commenta l’attentato: “Gli arabi sono vermi e sono in ogni luogo, sotto terra e sopra, vermi che attaccano il popolo ebreo”.
9-10 dicembre 2004 La promessa israeliana di garantire la libertà delle elezioni presidenziali palestinesi previste per il 9 gennaio, fatta a Colin Powell nel corso della sua visita a Gerusalemme, è già smentita. Mustafà Barghuti, candidato alternativo ad Abu Mazen, è preso a botte e costretto un’ora con la faccia a terra, sotto la minaccia delle armi; viene malmenato ad un check point anche Bassam Salhi, candidato del Partito del popolo. Il 27 novembre, ha ritirato la candidatura Marwan Barghouti, leader di Al Fatah ristretto in un carcere israeliano.
10 dicembre 2004 A New York, è pubblicizzato il rapporto di John Dugard alla commissione per i diritti umani delle Nazioni unite sulle violazioni commesse da Israele in Palestina. Dopo aver enumerato le devastazioni e le uccisioni commesse dagli occupanti, il relatore afferma che col ritiro unilaterale Israele “non ha previsto di allentare la presa sulla Striscia di Gaza ma prevede di controllarne i confini, le acque marittime territoriali e lo spazio aereo”, nonché di garantirsi un’ampia fascia di sicurezza, così che si dovrà considerare “a tutti gli effetti forza occupante”. Confuta quindi le motivazioni addotte dal governo israeliano per la costruzione del Muro indicandone gli scopi reali in: “1. Inclusione di zone coloniche all’interno di Israele; 2. Confisca di terre palestinesi; 3. Incoraggiare i palestinesi a lasciare le proprie terre e case rendendo loro la vita insopportabile”. Il rapporto analizza poi le inibizioni alla libertà di movimento realizzata mediante i check point ed afferma : “Le restrizioni alla libertà di movimento imposte ai palestinesi dalle autorità israeliane somigliano alle note pass laws del Sud Africa dell’apartheid. Queste pass laws venivano amministrate in un modo umiliante ma in modo uniforme. Le leggi israeliane che governano la libertà di movimento sono amministrate analogamente in modo umiliante ma sono caratterizzate da arbitrarietà. Sotto un aspetto Israele è andato anche oltre lo scopo della legge dell’apartheid” costruendo strade separate per i coloni; e lo ‘apartheid stradale’ –osserva Dugard- non è stata una caratteristica del regime sudafricano.
17 dicembre 2004 Le forze israeliane scatenano un’offensiva, denominata ‘Ferro arancione’, contro il campo profughi di Khan Yunis, nella Striscia di Gaza. Solo nei primi due giorni l’attacco provoca 11 morti e 40 feriti, alcuni dei quali in fin di vita. Il bilancio ufficiale della repressione della seconda Intifada è, a questa data, di 3.588 vittime.
18 dicembre 2004 A Gerusalemme, è annunciata la costituzione del governo israeliano di unità nazionale che include il Partito laburista, cui sono attribuiti 8 dicasteri.
26 dicembre 2004 Si svolgono nei Territori elezioni amministrative – le prime consultazioni dal 1996- con un afflusso alle urne dell’85%. L’Anp annuncia la vittoria di Al Fatah di stretta misura mentre Hamas ha registrato una forte crescita, ma non rende ancora disponibili i dati precisi. In seguito è reso noto che Al Fatah ha perso 9 amministrazioni a vantaggio di Hamas.
31 dicembre 2004 L’offensiva ‘Ferro arancione’, condotta dalle truppe israeliane contro i campi di Khan Yunis e Rafah, ha mietuto altre 12 vittime palestinesi solo negli ultimi giorni dell’anno mentre fra gli occupanti si registrano solo 3 feriti. Al valico di Rafah, la situazione è insostenibile anche per i divieti imposti da Israele e dall’Egitto, i controlli e le lungaggini burocratiche che provocano file interminabili e anche decessi fra le persone in attesa di passare. E’ stato inoltre nuovamente fermato, e arrestato, il candidato alle presidenziali Mustafà Barghuti, colpevole di essersi trattenuto a Gerusalemme est, che Israele considera proprio territorio.
4-5 gennaio 2005 A Beit Lahya, nella Striscia di Gaza, un bombardamento israeliano provoca 8 morti, fra i quali 3 ragazzini e un bambino, come rappresaglia per il lancio di razzi sugli insediamenti degli occupanti. Il giorno successivo un altro palestinese è ucciso al valico di Eretz; alcuni israeliani restano feriti da razzi esplosi da militanti.
10 gennaio 2005 Nei Territori, il 70% circa dei palestinesi partecipa alle elezioni presidenziali; solo un migliaio ha potuto votare a Gerusalemme su 120.000 aventi diritto, per il boicottaggio israeliano. Abu Mazen riesce vittorioso col 62,3% mentre Mustafà Barghuti ha conseguito il 20% (secondo quest’ultimo le percentuali sarebbero invece, rispettivamente, 55% e 29%). Nella campagna elettorale Abu Mazen, spesso criticato per le sue posizioni giudicate arrendevoli verso Israele, si è presentato come il continuatore di Yasser Arafat, ha chiesto il ripristino dei confini precedenti alla guerra dei sei giorni, la intangibilità del diritto al rientro dei profughi e la liberazione delle migliaia di prigionieri politici, fra i quali Marwan Barghouti. Come ‘prova di buona volontà’ il governo israeliano ha liberato difatti solamente 159 prigionieri, quasi tutti a fine pena e nessuno dei quali è accusato di attentati. Dopo l’annuncio dei risultati elettorali, il premier israeliano Ariel Sharon fa pervenire al nuovo eletto un messaggio di felicitazioni promettendo di riprendere i colloqui interrotti.
11-12 gennaio 2005 Gli israeliani attaccano con bombardamenti aerei basi Hezbollah nel Libano ed uccidono un osservatore francese. Un giovane palestinese che accompagnava all’ospedale la moglie incinta è freddato dai colpi israeliani, mentre la donna ed un terzo palestinese restano gravemente feriti. Presso la base israeliana di Morag, nel sud di Gaza, un attacco rivendicato dalle Brigate Martiri di al Aqsa e di Jihad provoca nell’immediato la morte di un colono ed alcuni feriti e la morte altresì dei due attentatori.
13-14 gennaio 2005 A Karni, al confine fra Israele e Gaza, 3 attentatori palestinesi fanno esplodere nella notte il terminal commerciale provocando la propria morte e quella di 6 israeliani. Il premier israeliano Ariel Sharon ordina la cessazione di qualunque contatto finché non sarà cessato ogni attacco armato palestinese, senza peraltro promettere a propria volta la cessazione delle uccisioni. Che, difatti continuano. Otto morti, fra essi un ragazzino disarmato; poi un militante 20enne ed altre 4 persone uccise a cannonate, e poi ancora altri 3 palestinesi uccisi perché trovati ‘in zona vietata’.
17 gennaio 2005 Il presidente Abu Mazen impartisce alle forze di sicurezza palestinesi l’ordine di “prevenire qualsiasi atto di violenza inclusi gli attacchi contro Israele” ed annuncia l’intento di assorbire le Brigate Martiri di Al Aqsa e le forze di Hamas e Jihad nella sicurezza dell’Anp. Le due ultime chiedono che il cessate il fuoco non sia unilaterale e di ottenere, come condizione per fermare le ostilità, che Israele cessi a sua volta “le deliberate e quotidiane uccisioni di palestinesi”. Il giorno successivo, un giovane kamikaze si fa esplodere nei pressi della postazione di Gush Katif provocando il ferimento di 5 militi, mentre Abu Mazen si trovava a Gaza per convincere i guerriglieri a deporre le armi. E’ questo l’ultimo attentato prima di consentire ad Abu Mazen di esperire il suo tentativo di dialogo.
25-26 gennaio 2005 Il primo ministro palestinese Abu Ala ha firmato il decreto che mette al bando le armi nei Territori. In Cisgiordania, a Qalqilya, militi israeliani uccidono a raffiche di mitra un militante di Hamas e feriscono altri due ed un ragazzino.
27 gennaio 2005 A Gaza, si svolgono le elezioni amministrative (eccetto a Gaza city e Khan Yunis) che assegnano la netta vittoria ad Hamas in 7 comuni su 10 , 75 seggi su 118, mentre 39 sono assegnati al Fatah e agli altri partiti minori che sostengono Abu Mazen.
30 gennaio 2005 A Gerusalemme, sfilano 130.000 fra coloni, rabbini e seguaci della destra protestando contro il ventilato ritiro da 5 città (Ramallah, Betlemme, Tulkarem, Qalqilya, Gerico).
31 gennaio 2005 Una bambina di 11 anni è ammazzata dal fuoco israeliano nel cortile di una scuola gestita dall’Onu. Le vittime palestinesi dall’inizio della seconda Intifada sarebbero a questa data 3.663 palestinesi e 981 israeliani.
Gennaio 2005 Il governo presieduto da Ariel Sharon comunica che non terrà conto del parere espresso dal procuratore generale dello Stato, Meni Mazuz, che si è pronunciato per l’illegalità del ‘ripescaggio’ della “legge sulle proprietà degli assenti” (vedi nota 14 marzo 1950) che consente la espropriazione dei beni degli ‘assenti’ palestinesi a Gerusalemme, compresi gli sfollati e coloro che si sono allontanati anche per breve tempo. Non si terrà conto, tanto meno, della protesta delle comunità cristiane, cui appartengono molti fra gli espropriati negli ultimi mesi. Continuano perciò le confische di case e terreni che si aggiungono a quelle in corso per la costruzione del Muro.
3 febbraio 2005 L’Alta Corte di giustizia israeliana respinge il ricorso presentato dai sindaci di Betlemme e Beit Jalla contro il percorso della strada che congiungerà Gerusalemme alla tomba della matriarca Rachele, ulteriore pretesto per violare i diritti di proprietà e di movimento dei palestinesi ed operare annessione di terre.
8 febbraio 2005 A Sharm el Sheick si svolge, con il patrocinio e la mediazione egiziana, l’incontro fra Abu Mazen, Ariel Sharon e il re di Giordania Abdullah II, che dovrebbe sancire la fine dell’Intifada palestinese e la ripresa delle trattative basate sulla Road Map. Subito dopo l’incontro, in ottemperanza agli impegni presi, Abu Mazen ordina la rimozione del generale della polizia Abdel Razek al Mayaida e del capo della sicurezza a Gaza Saeb al Ayez, uomini vicini a Yasser Arafat, aprendo così la strada al colonnello Mohammed Dahlan, discusso personaggio gradito a Israele. Il governo Sharon invece nominerà nei prossimi giorni alla carica di capo di Stato maggiore il generale Dan Halutz, responsabile di un sanguinoso bombardamento su Gaza nell’estate 2002. Sharon ha promesso soltanto la liberazione di 500 palestinesi accusati di fatti minori o a fine pena, su un totale di 8.000 prigionieri politici, ed il rientro di una cinquantina di militanti deportati all’estero, a condizione di una stretta vigilanza. Le parti non hanno formalmente sottoscritto alcun impegno.
14 febbraio 2005 In Libano, è ucciso Rafiq Hariri, mediatore fra le varie fazioni che si incolpano reciprocamente dell’omicidio. Stati uniti e Israele, appoggiati dall’Onu, ordinano perentoriamente il ritiro delle truppe siriane dal paese ed il disarmo degli Hezbollah e dei militanti palestinesi. Nelle settimane seguenti si susseguono manifestazioni di diverso segno contro le ingerenze straniere nel paese, alcune contro la Siria, altre contro le pretese americane.
14-16 febbraio 2005 Continua la carneficina. Un militante palestinese è ucciso da soldati israeliani presso la Tomba dei patriarchi. Il giorno dopo, la morte tocca ad un ragazzino di 15 anni a Beitunia, presso Ramallah; il 16, ad altri due palestinesi presso Bracha, in Cisgiordania. Per questi omicidi, provocatori mentre si esige imperiosamente la cessazione della resistenza palestinese, le Brigate martiri di al Aqsa, inquadrate nel Fatah, ventilano la fine della tregua unilateralmente concessa. Presso Hebron, 2 volontari cristiani della ‘comunità Giovanni XXIII’ denunciano di essere stati aggrediti da coloni ebraici a pugni e calci e di essere dovuti ricorrere alle cure ospedaliere.
20 febbraio 2005 Il governo israeliano vota a maggioranza (col voto contrario di 5 membri su 22) il piano di ritiro da 5 città e di sgombero di 21 colonie della Striscia di Gaza e di 4 in Cisgiordania, attizzando l’opposizione dei coloni e dei rabbini di Gaza. Nel tentativo di tranquillizzarli, il ministro della Giustizia comunica che, solo grazie alla costruzione del Muro, Israele sta annettendo l’8% della Cisgiordania, senza tenere conto di Gerusalemme est, che Israele considera interamente propria.
20-23 febbraio 2005 Militi israeliani sparano presso Rafah, ferendo due palestinesi. Sparano anche a un soldato egiziano a nord della stessa località. Il 22, è compiuto un omicidio mirato del quale resta vittima un agente della sicurezza palestinese, Dib Mohammed Hamattu. Il 23, gli israeliani ammazzano 2 ragazzini, uno a Ramallah ed uno a Rafah, quest’ultimo mentre era intento a trasportare un giocattolo.
24 febbraio 2005 Dopo 3 giorni di difficili trattative è formato il nuovo governo palestinese presieduto da Abu Ala, nel quale il primo ministro è stato indotto ad inserire i due elementi desiderati dagli israeliani, Mohammed Dahlan e Nasser Yussef, il primo come responsabile agli affari civili ed il secondo come responsabile degli apparati di sicurezza. Ministro degli esteri è nominato Nasser al Qidwa, nipote di Yasser Arafat, per anni rappresentante palestinese alle Nazioni unite.
25 febbraio 2005 Un kamikaze si fa esplodere sul lungomare di Tel Aviv, davanti ad una discoteca frequentata anche da militari, provocando 50 feriti e 5 morti fra i quali se stesso. L’azione è rivendicata alla Jihad islamica da parte di un suo dirigente libanese, mentre la stessa organizzazione palestinese ha dichiarato di continuare a rispettare la tregua, benché unilaterale. La unica rivendicazione certa è un video girato dallo stesso attentatore, uno studente 21enne di Tulkarem. Il primo ministro palestinese Abu Ala ordina la repressione dei responsabili e Nasser Yussef fa arrestare 2 militanti di Jihad. Israele a sua volta opera altri 5 arresti, fra i quali quello dell’imam Qassem Qassem e profitta dell’occasione per bloccare la liberazione di 400 prigionieri palestinesi che si dovevano aggiungere ai precedenti 500.
Febbraio 2005 In un’intervista rilasciata ad “Arabmonitor” il portavoce di Hamas, Osama Hamdan, denuncia che “a Sharm el Sheick Abu Mazen ha dato senza nulla ricevere…gli israeliani non si sono assunti alcun impegno”, mentre “il Muro continua ad avanzare e la violenza nei confronti dei palestinesi rimane quotidiana”. Hamas vuole anch’essa la tregua- spiega- e chiede che siano soddisfatte “almeno due richieste: il rilascio di tutti i prigionieri palestinesi da parte israeliana e la cessazione di ogni forma di violenza nei confronti dei palestinesi” ricordando che tra gli 8.000 prigionieri “ci sono 485 minorenni, 250 donne, 15 di loro in stato di gravidanza, 300 sono affetti da gravi malattie. Gli israeliani possono rilasciare 500 detenuti oggi e arrestare 1000 domani. Il problema, in questo modo, non si risolve mai”.
1 marzo 2005 A Londra, si apre la conferenza sul Medio Oriente con i rappresentanti di 20 paesi e del segretario delle Nazioni unite Kofi Annan, presenti i rappresentanti palestinesi e significativamente assenti gli israeliani. I c.d. ‘paesi donatori’ presentano il piano di finanziamento a favore dei palestinesi che prevede un impegno dell’Unione europea per 250 milioni di euro, impegno peraltro condizionato alla fine della resistenza armata contro l’occupante. La Banca mondiale, dal canto suo, rende noto un progetto di finanziamento per l’allestimento di posti di blocco e transiti da un versante all’altro del Muro, con la motivazione ufficiale di “favorire i palestinesi”, e quella reale di far accettare come irreversibile lo stesso Muro e le annessioni illegali compiute da Israele di terre palestinesi.
3 marzo 2005 A Jenin, mediante un’incursione, forze israeliane arrestano 7 militanti di Jihad con la motivazione che essi sarebbero collegati all’attentato di Tel Aviv del 25 febbraio.
8 marzo 2005 Il quotidiano israeliano “Haaretz” rende noto il ‘rapporto Sasson’ sugli avamposti israeliani costruiti - in violazione della stessa Road map, che doveva bloccare tali costruzioni dal marzo 2001- in gran parte su terre palestinesi, finanziati dall’esercito, dall’agenzia per l’immigrazione o dal ministero dell’edilizia; e la presa di posizione del primo ministro Ariel Sharon che si impegna a smantellare i più recenti.
10 marzo 2005 In Cisgiordania, forze israeliane compiono un raid omicidiario del quale resta vittima il militante di Jihad, Mohammad Abu Khazneh.
17 marzo 2005 L’ufficio antifrodi della Unione europea chiude ufficialmente la inchiesta, aperta nel 2003 dietro pressione israeliana, che ha accertato non esservi elementi per affermare che i fondi stanziati dalla stessa Unione per l’assistenza ai palestinesi siano stati devoluti a formazioni armate.
22 marzo 2005 A Tulkarem avviene il passaggio di consegne all’Autorità palestinese con lo smantellamento dei posti di blocco israeliani; mentre a Gerico, l’altra città della quale era stato annunciato lo sgombero, ma occupata solo saltuariamente nel passato, la situazione resta sostanzialmente la stessa, con le truppe appena all’uscita di città. Gli israeliani rifiutano inoltre la liberazione del dirigente del Fplp Ahmed Saadat, che a Gerico è detenuto sotto controllo internazionale. A raggelare ogni possibile illusione palestinese sul significato dello sgombero di Tulkarem, il governo israeliano comunica che saranno costruite 3.500 nuove abitazioni in Cisgiordania, destinate ai coloni ebrei provenienti da Gaza e raggruppate in 3 colonie che collegheranno Maaleh Adumin a Gerusalemme “perché sono aree che non saranno mai consegnate all’Autorità nazionale palestinese”. Il progetto israeliano è idoneo a spaccare in due la Cisgiordania settentrionale, creando un accerchiamento di Gerusalemme da parte israeliana, ed un suo ampliamento, così che la parte est della città non potrà mai essere la capitale di uno stato palestinese. Dal canto suo, il negoziatore palestinese Saeb Erekat avverte che i palestinesi “non accetteranno mai, per nessun motivo, gli insediamenti in Cisgiordania in cambio del ritiro israeliano da Gaza” denunciando che il reale piano di Sharon è trasformare la Striscia “in un carcere”.
30 marzo 2005 A Ramallah, le Brigate al Aqsa contestano violentemente la decisione di sgomberare la Muqata dai militanti per affidare la sicurezza alle sole forze regolari e la riorganizzazione della stessa. In questi stessi giorni sono costretti alle dimissioni Haj Ismail Jaber e Yunis al Aas, il primo dei quali denuncia la “campagna di pressione condotta contro la mia persona dal ministro della Difesa israeliano Shaul Mofaz”. Si approfondisce il contrasto fra il presidente Abu Mazen ed il primo ministro palestinese Abu Ala, il quale ultimo constata la mancanza di contropartite israeliane a fronte delle continue concessioni palestinesi.
31 marzo 2005 A questa data, la popolazione palestinese nella Palestina storica è 4,9 milioni, dei quali 3,7 nei Territori occupati e gli altri in Israele. Oltre la metà ha meno di 18 anni.
Marzo 2005 Una cava di pietra presso Nablus inizia ad essere impermeabilizzata per trasformarsi in discarica, atta a recepire i rifiuti provenienti dalle città israeliane, in violazione delle convenzioni internazionali che vietano ai paesi occupanti di sfruttare le risorse dei territori occupati. I lavori sono stati iniziati dalla società Baron industrial Park che rappresenta gli interessi dei coloni ebraici. Un’altra provocazione riguarda il villaggio di At Tuwani dove ignoti, probabilmente coloni ebraici, hanno sparso veleni sulle terre palestinesi adibite a pascolo, che essi rivendicano per sé.
9 aprile 2005 A Gaza, militi israeliani uccidono 3 ragazzini intenti a giocare a pallone in ‘zona non autorizzata’. Un’associazione per i diritti umani divulga in questi giorni la testimonianza giurata di un altro ragazzo 16enne, Mahmud Radi Erakat che, arrestato il 2 aprile in Cisgiordania in seguito ad una sassaiola contro i soldati, afferma di stato appeso con la testa all’ingiù e tormentato con mozziconi di sigaretta e corde strette attorno ai testicoli.
10 aprile 2005 Mentre Ariel Sharon giunge in visita a Washington, a Gerusalemme, coloni e religiosi ebraici occupano come annunciato da giorni la Spianata delle moschee, per indicare la volontà di privare i palestinesi del loro luogo sacro, difeso dai giovani arabi che si schierano davanti alla moschea al Aqsa. La polizia israeliana interviene arrestando un po’ degli uni e un po’ degli altri; ma gli ebrei sono presto rilasciati. Fra i palestinesi tratti in arresto vi è il leader di Hamas in Cisgiordania, Hassan Yousef.
18 aprile 2005 Il primo ministro israeliano Ariel Sharon annuncia il rinvio del ritiro da Gaza, previsto secondo le precedenti dichiarazioni per il 20 luglio, prendendo a pretesto le celebrazioni religiose ebraiche. Continuano febbrilmente, invece, i lavori per l’ampliamento delle colonie illegali in terra araba, presso Gerusalemme e ad El Kana, dove è stata pubblicizzata una gara d’appalto per nuove palazzine. Nella città cisgiordana di Hebron, l’esercito israeliano ha annunciato di voler innalzare un altro muro per “proteggere i coloni”, notizia ripresa dal giornale “Maariv”.
28-29 aprile 2005 Il presidente russo Vladimir Putin compie un viaggio in Palestina. Dapprima si reca in Israele, dove incontra Ariel Sharon. Nei colloqui emergono diversi punti di contrasto, particolarmente circa l’appoggio al programma nucleare iraniano, le forniture militari russe alla Siria, ed il rifiuto di Israele di consegnare i burocrati della Yukos perseguiti per frode, che sono riparati a Gerusalemme. Il giorno seguente, nei Territori, dopo aver reso omaggio alla tomba di Arafat, Putin incontra Abu Mazen al quale promette aiuti per la ricostruzione e la fornitura di apparecchiature, fra cui alcuni veicoli blindati, ciò che provoca una stizzita reazione israeliana.
1 maggio 2005 Anche il premier turco Tayyp Erdogan giunge in visita in Israele e nei Territori, nella quale occasione egli annuncia il trasferimento all’Autorità palestinese delle proprietà acquisite negli attuali Territori durante l’Impero ottomano ed ulteriori aiuti economici; anche in questo caso, giunge una replica del governo israeliano che boicotta ogni aiuto internazionale ai palestinesi.
1 maggio 2005 All’alba, presso Tulkarem – la città da poco riconsegnata all’Autorità palestinese- le forze israeliane fanno irruzione per uccidere un militante di Jihad islamica, Abdul Ghani.
2 maggio 2005 Il governo israeliano approva la costruzione di un’università israeliana nella colonia ebraica di Ariel, presso Nablus, in territorio occupato. La provocatoria decisione sarebbe una risposta al boicottaggio dei due atenei israeliani di Haifa e Bar Illan deciso dall’associazione britannica dei docenti universitari in conseguenza della repressione da parte israeliana della libertà di insegnamento.
4 maggio 2005 A Ramallah, soldati israeliani uccidono due giovani palestinesi che avevano lanciato sassi contro di loro. Poco lontano, nel villaggio di Bilin, si svolge una manifestazione contro lo sradicamento di un uliveto palestinese che deve, negli intenti israeliani, essere espropriato per lasciare spazio al Muro.
18 maggio 2005 Le truppe israeliane violano nuovamente la tregua uccidendo Abu Sohaib ed un altro militante di Hamas, che morirà in ospedale in seguito alle ferite riportate. In seguito ai razzi sparati dai militanti palestinesi per rispondere all’uccisione in direzione degli insediamenti colonici, che peraltro non hanno fatto vittime, Israele blocca la zona industriale di Gaza paralizzando il il transito palestinese. Anche migliaia di coloni ebraici hanno manifestato il 16 paralizzando le vie di comunicazione contro ogni ipotesi di ritiro.
22 maggio 2005 In Giordania, si conclude con un nulla di fatto il World economic Forum sul Medio Oriente. Abu Mazen, in un’intervista concessa nell’occasione, alla domanda sull’applicazione degli accordi di Sharm El Sheick, risponde: “Inesistente. La chiusura dei Territori continua. I 600 posti di blocco stabiliti nella West Bank sono rimasti al loro posto. La liberazione dei prigionieri, dopo i primi 150, è scomparsa dall’agenda. Del ritiro dalle città non si parla più. E’ tutto congelato”.
26 maggio 2005 A Washington, George Bush incontra il presidente palestinese Abu Mazen al quale promette uno stanziamento di fondi a condizione che l’Anp proceda alla repressione della resistenza palestinese (“terrorismo”) e di Hamas. In questi stessi giorni, non casualmente, l’Autorità palestinese annuncia il rinvio delle elezioni politiche, per le quali si profila un buon risultato dell’organizzazione islamica. Quest’ultima ha difatti vinto la seconda tornata di elezioni amministrative in 49 comuni su 102 - mentre in 22 comuni non ha presentato liste (v. note 26 dicembre 2004 e 27 gennaio 2005). Hamas accusa l’Anp di “obbedire alle richieste di Usa ed Israele” ed il clima di arroventa, in seguito anche all’annullamento decretato dall’Anp di elezioni a Beit Lahya, vinte da Hamas.
Maggio 2005 A Gerusalemme, il comune annuncia la demolizione di 88 case palestinesi nel quartiere di Silwan, per lasciare posto ai coloni ebrei che intendono occupare la parte araba della città. Appoggiati dai deputati arabi della Knesset i legittimi abitanti, circa un migliaio, annunciano la resistenza ad oltranza contro l’ennesimo abuso.
2 giugno 2005 Israele rilascia 398 prigionieri palestinesi, mentre altri 7.000 restano nelle prigioni, in condizioni durissime. L’Anp denuncia pertanto la disapplicazione dell’accordo anche sotto questo aspetto.
5 giugno 2005 A Gerusalemme coloni ebrei, che occupano provocatoriamente la Spianata delle moschee e la città araba, incontrano la resistenza di giovani palestinesi. Ai sassi tirati dai ragazzi la polizia risponde sparando e ferendo diversi fra essi. Abu Mazen chiede inutilmente a Sharon di fermare le provocazioni.
7 giugno 2005 Giornata di sangue nei Territori con la uccisione da parte israeliana di Marwad Zeid Kmail, leader di Jihad e di un civile a Qabatya, di un terzo giovane palestinese a Rafah; i razzi sparati per rappresaglia contro gli insediamenti occupanti uccidono a loro volta tre lavoranti in una colonia. La polizia israeliana spara poi proiettili di gomma e granate assordanti per disperdere una manifestazione pacifista contro il Muro e le annessioni israeliane.
11 giugno 2005 Il presidente Abu Mazen firma 4 condanne a morte per crimini comuni, interrompendo così la moratoria della pena capitale decretata da Yasser Arafat. La pena capitale, per pressioni israeliane, non è stata applicata a nessuno degli internati per reato di collaborazionismo.
18 giugno 2005 Il viaggio del segretario di Stato americano, Condoleeza Rice, a Gerusalemme e Ramallah si conclude con un nulla di fatto. Alle pressioni della Rice per il congelamento degli insediamenti ebraici in Cisgiordania, il governo Sharon ha risposto indirettamente pubblicizzando il bando per 700 nuove abitazioni. Alla domanda di un giornalista palestinese, se la ‘democrazia’ americana preveda il rispetto dei risultati elettorali di Hamas, la Rice ha replicato “non tratteremo mai con un’organizzazione terrorista”.
21 giugno 2005 A Gerusalemme, si conclude con un nulla di fatto anche l’incontro fra Ariel Sharon e Abu Mazen, il primo dei quali si ostina a richiedere la tregua unilaterale da parte palestinese. Sono appena stati compiuti 50 arresti in Cisgiordania e l’omicidio di un esponente di Jihad, rappresaglia ad una precedente azione palestinese al confine con l’Egitto, dove è morto un soldato, ed al fermo di una ragazza che trasportava esplosivo ad Eretz. Nessuna concessione sui prigionieri e sul muro. Abu Mazen accusa le forze israeliane di “quotidiane violazioni degli accordi, che determinano le risposte delle fazioni palestinesi”.
26 giugno 2005 L’insediamento del nuovo presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, che perora nel suo discorso di investitura rapporti paritari fra i popoli e la sovranità nazionale degli stati mussulmani, provoca irose dichiarazioni del governo ebraico. Ahmadinejad a sua volta dichiara che l’Iran avrà rapporti con gli stati che rispettino gli altrui diritti, escludendo pertanto Israele.
28 giugno 2005 Si estende, in vista dello sgombero da Gaza, la rivolta dei coloni che considerano proprio diritto occupare terre altrui e danno vita a manifestazioni e piccoli scontri, appoggiati da militari obiettori. Hanno scelto come proprio simbolo vessilli e scritte di colore arancione. Peraltro, il primo sgombero dei manifestanti asserragliati all’hotel Beach avviene senza incidenti, tanto che alcuni commentatori palestinesi parlano di una messinscena per propagandare l’iniziativa di Sharon. Reale invece il tentativo di linciaggio, da parte dei coloni presso Gush Katif, di un ragazzino palestinese di 16 anni, salvato in extremis. Il governo israeliano annuncia il blocco della Striscia, che penalizzerà principalmente i palestinesi, dalla quale è allontanata anche la stampa.
29-30 giugno 2005 Truppe israeliane attaccano le fattorie di Cheba, nel Golan, provocando 2 morti.
5 luglio 2005 Mahmoud Zahar, dirigente di Hamas, denuncia che “il ritiro israeliano da Gaza è stato trasformato in un fatto quasi privato fra gli israeliani e l’Anp” e di quest’ultima “non ci fidiamo: tutto quello che abbiamo concordato con loro non è mai stato attuato e adesso tramano contro di noi…La loro sicurezza preventiva ha arrestato diversi nostri militanti e sta raccogliendo informazioni sui nostri giovani a seguito delle pressioni israeliane ed americane”.
7 luglio 2005 A Nablus, militari israeliani uccidono un palestinese, un altro è stato assassinato a Gaza nei pressi di un insediamento colonico.
7 luglio 2005 A Gleneagles (Scozia), il vertice del G8 stanzia 3 miliardi di dollari per la ricostruzione della Striscia di Gaza, distrutta dall’occupazione israeliana. Gli Usa, richiesti da Israele, stanzieranno invece 2 miliardi aggiuntivi alle consuete elargizioni al governo ebraico per finanziare il ritiro.
10 luglio 2005 Il governo israeliano dà il via alla costruzione di un altro tratto del Muro finalizzato a separare Gerusalemme est dalla Cisgiordania, tagliando fuori 3 quartieri abitati da 55.000 palestinesi, mentre è diffusa la notizia che sarà costruita una barriera anche nel mare, per isolare Gaza.
12 luglio 2005 A Netanya, a nord di Tel Aviv, si fa esplodere un kamikaze palestinese provocando la morte di 2 persone e diversi feriti, per protesta contro il rifiuto israeliano di consegnare all’Anp il suo villaggio, Attil, teatro di continue vessazioni contro la popolazione. Immediata la rappresaglia israeliana con l’uccisione di un poliziotto arabo, il sequestro di 5 persone, il rinvio della consegna all’Anp anche di Betlemme, Ramallah e Qalqilya.
12 luglio 2005 In Libano, sfugge ad un attentato il ministro della Difesa Elias Murr, filo- siriano. Si intuisce ancora una volta la mano israelo- americana nella destabilizzazione del Libano e della Siria, cui gli Usa hanno intimato il totale sgombero dal territorio libanese, lo scioglimento di Hezbollah, il disarmo dei campi profughi palestinesi, la consegna dei membri del Baath iracheno riparati a Damasco.
15 luglio 2005 Aerei da guerra israeliani colpiscono Gaza e la Cisgiordania provocando la morte di 7 militanti di Hamas mentre truppe corazzate avanzano nella Striscia per rappresaglia contro il lancio di razzi Qassam, che hanno provocato un morto, risposta dei militanti palestinesi alle ultime uccisioni ed arresti. Anche la polizia palestinese si scontra con i giovani di Hamas, ferendone 3, per ordine di Abu Mazen intenzionato a far applicare la tregua unilaterale.
17 luglio 2005 Israele continua gli ‘omicidi mirati’ uccidendo un dirigente di Hamas mentre si trovava sul terrazzo della sua abitazione.
18-19 luglio 2005 La polizia israeliana contrasta un raduno di coloni e sionisti indetto a Netivot per reclamare la ‘grande Israele’ e protestare contro lo sgombero da Gaza, fermando i mezzi dei dimostranti lungo la strada. Alcune decine di migliaia fra essi si mettono in marcia a piedi verso Gush Katif ma sono fermati dal blocco della polizia a Kfar Maimon. Ariel Sharon interviene per rassicurare i dimostranti che la colonizzazione procede in Cisgiordania, terra ben più appetibile di Gaza, semidistrutta dalle continue incursioni israeliane. Intanto, nella Striscia, avvengono scontri a fuoco, con decine di feriti, fra militanti di Hamas e Jihad, da un lato, e di Fatah dall’altro, intenzionati questi ultimi ad ottenere la tregua unilaterale per facilitare il ritiro israeliano da Gaza.
25 luglio 2005 A Gerusalemme, il nunzio vaticano è convocato al ministero degli Esteri dove deve ascoltare le lamentazioni del governo israeliano per non avere il Papa incluso Israele fra le “vittime del terrorismo” nel suo messaggio di condanna dei sanguinosi attentati a Londra, cosa che griderebbe “vendetta al cielo” e “può essere interpretata come una licenza per realizzare attacchi terroristici contro gli ebrei”. Una nota vaticana replica che “come il governo israeliano non si lascia dettare da altri le proprie parole, nemmeno la Santa Sede può accettare di ricevere insegnamenti e direttive da alcun’altra autorità circa l’orientamento ed i contenuti delle proprie dichiarazioni”. La stampa israeliana, particolarmente “Jerusalem Post”, inizia una campagna contro Benedetto XVI. La crisi diplomatica rientrerà parzialmente fra un mese, ad opera dell’ambasciatore israeliano presso la Santa Sede Aded ben Hur.
3 agosto 2005 A Londra, la Bbc rende noti documenti recentemente declassificati del ministero degli Esteri che dimostrano l’appoggio dato negli anni Cinquanta dal governo britannico ad Israele per dotarla segretamente di armamento atomico.
4 agosto 2005 A Shfaran, l’israeliano Eran Tzuberi apre il fuoco su un autobus palestinese uccidendo 3 persone e ferendone una dozzina, ed è a sua volta ucciso dai presenti.
11 agosto 2005 A Tel Aviv, 100.000 ebrei manifestano contro il ritiro da Gaza mentre inizia l’esodo degli 8.500 coloni dai 21 insediamenti presenti nella Striscia. E’ previsto anche lo sgombero da 4 insediamenti in Cisgiordania (Kadim, Ganim, Sa Nur, Homesh) dove la situazione è più tranquilla. Un’altra dimostrazione si è svolta giorni fa a Sderot.
17-22 agosto 2005 Scaduto alla mezzanotte il termine per evacuare gli insediamenti di Gaza, inizia lo sgombero forzoso dei riottosi, che registra limitati incidenti fra polizia e coloni specie presso la sinagoga di Neveh Decalin, dove si sono asserragliati questi ultimi, e un centinaio di fermi. Un colono spara contro un gruppo di operai palestinesi uccidendone 3 sul colpo e ferendone 2. In un messaggio televisivo, Ariel Sharon invita alla calma e si assume ogni responsabilità del ritiro, ricevendo gli elogi di Condoleeza Rice, che esalta la ‘coraggiosa mossa’, e della stampa filo- israeliana di tutto il mondo che, mediante una campagna propagandistica concordata, cerca di far dimenticare i crimini di Sharon e presentarlo come l’uomo della pacificazione. Per contro il leader di Hamas, Mahmoud al Zahar, rivendica alla resistenza la parziale vittoria, avendo essa reso la Striscia la zona più insicura per gli occupanti, capaci solo di massacrare inermi e molto meno di combattere.
24 agosto 2005 All’indomani dello sgombero da Gaza, a dissipare ogni equivoco sulle proprie intenzioni, il governo israeliano fa partire le ordinanze di esproprio di terre palestinesi attorno all’insediamento di Maaleh Adumin, città- colonia già abitata da 28.000 persone. Secondo la Bbc, la zona confiscata interessa un’area di 60 kmq. L’appello del presidente palestinese Abu Mazen a fermare la colonizzazione non è stato degnato di una risposta.
25 agosto 2005 Truppe israeliane invadono il campo profughi di Tulkarem, uccidendo un militante di Jihad, uno di al Aqsa e 3 adolescenti disarmati. Non pago, il governo Sharon rivendica il totale controllo delle frontiere di Gaza, incluso il valico di Rafah, affermando che in caso di ribellione palestinese al diktat confischerà i diritti di frontiera, togliendo alla Striscia un importante introito. Si pensa anche a telecamere per schedare gli ingressi.
29 agosto 2005 Il quotidiano “Haaretz” tesse gli elogi di Ariel Sharon proponendogli la leadership della sinistra israeliana, con lo slogan “un partito senza leader cerca un leader senza partito”. In realtà, Ariel Sharon controlla tuttora la maggioranza del Likud (otterrà il 52% al comitato centrale, contro il 48% del concorrente Netanyahu).
2 settembre 2005 A Bilin, in Cisgiordania, la polizia israeliana carica e disperde una manifestazione pacifista contro il Muro.
5-6 settembre 2005 A Gaza, un’esplosione devasta un caseggiato abitato da militanti di Hamas uccidendo 4 persone. Il governo israeliano tenta di attribuire la responsabilità alla stessa Hamas. Il giorno seguente, militi israeliani uccidono un ragazzino di 17 anni a Khan Yunis.
7 settembre 2005 A Gaza, cento uomini armati circondano l’abitazione di Mussa Arafat, cugino dello scomparso presidente e già responsabile dei servizi di sicurezza a lui fedeli, lo uccidono e sequestrano suo figlio. L’azione è attribuita alla fazione filo- occidentale di Fatah guidata dall’ambiguo Mohammed Dahlan, dichiarato rivale dell’ucciso, ritenuto da molti corrotto dagli Usa. L’episodio dimostra la durezza della lotta che contrappone le fazioni di Fatah. Intanto, a Gaza, gli israeliani continuano la politica omicidiaria uccidendo un ragazzino palestinese 18enne e ferendone un altro, presso Refeyah Yam.
10 settembre 2005 A Gaza, l’inviato del “Corriere della sera” Lorenzo Cremonesi è sequestrato per alcune ore dalle brigate al Aqsa, che vogliono richiamare l’attenzione sul conflitto con l’Anp, che i militanti accusano di corruzione e che disattende l’impegno ad integrarli negli apparati di sicurezza.
11-12 settembre 2005 Ultimato il ritiro, soldati israeliani ammainano le bandiere nella Striscia di Gaza – per non smentirsi sparano a 5 ragazzini che si erano avvicinati al reticolato, 3 dei quali sono in gravi condizioni. Nel ritiro, i militi hanno distrutto tutte le costruzioni, per non lasciare nulla ai palestinesi, tranne le sinagoghe con la vistosa stella di David: “una trappola politica” per lo stesso Dahlan. Si scatena la gioia dei palestinesi che invadono le zone sgomberate ed issano le bandiere palestinesi, mentre i ragazzini frugano con le mani nelle macerie lasciate dalle ruspe per trovare qualche rottame utile. Alcune sinagoghe vanno in fiamme, mentre altri vorrebbero utilizzarle togliendone i simboli, per compensare la distruzione o trasformazione in sinagoghe delle moschee, praticate negli anni dagli israeliani (un servizio del quotidiano “Haaretz” ne ha documentate 77, ammettendo trattarsi di una lista incompleta). Migliaia di persone attraversano la frontiera con l’Egitto per visitare parenti ed amici, ma il transito è bloccato dopo 48 ore dall’Anp dietro pressione israeliana. Una grande folla segue la manifestazione di Hamas che attraversa la Striscia inneggiando alla resistenza che ha ottenuto la sua prima vittoria.
17 settembre 2005 Ariel Sharon minaccia il voto dei palestinesi: se Hamas non disarmerà “potremo decidere di non rimuovere check point e blocchi stradali per rendere loro difficile l’accesso ai seggi”. I sondaggi danno infatti Hamas al 40% e oltre ed occorre impedirlo, in nome della ‘democrazia’.
23 settembre 2005 A Gaza, ad una manifestazione di Hamas un’esplosione causa 20 morti e decine di feriti. La ricostruzione dell’organizzazione islamica ha individuato un ordigno teleguidato che ha colpito la jeep di un capo militare, mentre secondo altri si è trattato di un ordigno difettoso esploso fortuitamente. Israele profitta dell’evento per sorvolare Gaza con aerei da guerra.
25-26 settembre 2005 A Gaza, un raid omicida israeliano uccide con un missile il dirigente di Jihad Mohammed Khalil ed altri 3 militanti, fatti letteralmente a pezzi. In Cisgiordania i militari arrestano 400 attivisti di Hamas e Jihad per impedire loro di partecipare alle elezioni amministrative e controllare gli scrutini.
26 settembre 2005 John Dugard, relatore Onu sulle violazioni dei diritti umani nei Territori, scrive che “il focalizzarsi dell’attenzione su Gaza ha permesso a Israele di proseguire con la costruzione del Muro” ed attuare “la de- palestinizzazione di Gerusalemme, in pratica senza alcuna critica”. I palestinesi espulsi sono quasi 100.000 mentre continua la colonizzazione di Gerusalemme est, la previsione è che “il Muro colpirà il 40% dei 230.000 palestinesi che abitano a Gerusalemme”. Il relatore richiama inoltre il rapporto di Jean Ziegler, secondo il quale il 50% dei palestinesi sopravvive solo grazie agli aiuti umanitari, il 60% è in condizioni di indigenza ed il 22% dei bambini è denutrito: la miseria indotta dall’occupazione è definita “una punizione collettiva” vietata dalla Convenzione di Ginevra. Si segnala, fra gli altri abusi commessi dalle forze di occupazione, che 60 donne palestinesi sono state costrette a partorire presso check point israeliani, provocando la morte di 36 neonati.
27 settembre 2005 Un commerciante israeliano, accusato di spionaggio, viene ucciso da Hamas dopo il rifiuto israeliano di trattare la liberazione dei prigionieri.
29 settembre 2005 In Libano, l’esercito assedia i campi palestinesi in ossequio alle direttive Onu imposte da Stati uniti, Israele e Francia. Il diktat è respinto dalle organizzazioni dei rifugiati palestinesi: “Siamo qui da oltre 50 anni e siamo pronti a dare la vita per difendere i campi da chiunque voglia cancellare noi e la nostra autonomia politica, per ottenere il riconoscimento dei nostri diritti a cominciare da quello al ritorno ed al risarcimento sancito dalla risoluzione Onu 194” dichiara Sultan Abu Alaynen, capo militare di Fatah in Libano.
30 settembre 2005 In Cisgiordania si svolgono le elezioni amministrative palestinesi in 104 comuni. Hamas, che si è potuta presentare solo in 56, ottiene la maggioranza in 22 fra essi, a dispetto degli impedimenti frapposti dall’autorità occupante, mentre 65 vanno a Fatah, che si è presentata dappertutto, ed i restanti a liste indipendenti, civiche o di sinistra. Nella giornata elettorale, Israele non rinuncia al sangue, ammazzando 3 persone fra cui un ragazzino 13enne a Nablus.
2 ottobre 2005 Miliziani di Fatah provocano uno scontro con militanti di Hamas, nel quale 3 persone restano uccise e molte ferite: “C’è una fazione dell’Autorità che vuole eliminarci – dichiara un portavoce di Hamas- scatenando uno scontro in Cisgiordania”. Il giorno dopo, poliziotti dell’Anp irrompono nel Parlamento per chiedere la mano pesante contro Hamas.
6 ottobre 2005 Il governo Sharon protesta contro l’incontro di ambasciatori europei, compreso quello italiano, con il ministro libanese Mohammad Fneich, rappresentante degli Hezbollah recentemente entrati nella maggioranza. Israele intende difatti decidere con chi possono incontrarsi i rappresentanti degli altri Stati nella regione mediorientale, e con chi no. Nonostante l’assurda pretesa, non risulta alcuna nota di protesta contro Israele da parte della Ue.
9 ottobre 2005 Ancora un omicidio perpetrato da Israele di un militante di al Aqsa, cui si aggiungono 3 lavoratori palestinesi che cercavano di attraversare la barriera per lavorare in Israele.
16 ottobre 2005 Per vendicare gli omicidi mirati e gli arresti, a Gush Etzion (Cisgiordania) sono uccisi in agguato 3 coloni israeliani. Il governo israeliano annuncia la ripresa dei blocchi militari delle città palestinesi e slitta l’incontro previsto fra Abu Mazen e Sharon, il quale ultimo non intende fare alcuna concessione, sia riguardo la fine delle uccisioni sia sul rilascio dei palestinesi sequestrati. In conseguenza della tensione esistente tra le fazioni dell’Anp, si dimettono dal Fatah, in questi giorni, 259 esponenti.
24 ottobre 2005 Con un’incursione in Cisgiordania, unità israeliane uccidono Loai Assadi, leader di Jihad, costringendo i militanti palestinesi a interrompere nuovamente la tregua.
26 ottobre 2005 Un discorso del presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad che, celebrando il 26° anniversario dell’occupazione dell’ambasciata americana, ripete la nota posizione di un unico stato ebraico- palestinese con la soppressione del regime sionista, causa la sua politica omicidiaria e di pulizia etnica, è preso a pretesto da Israele per rinnovare le minacce all’Iran, del quale il governo Sharon chiede “l’espulsione dall’Onu” oltre che ispezioni alla ricerca di armi nucleari, delle quali Israele pretende il monopolio nella regione.
26-27 ottobre 2005 Un attentato kamikaze uccide a Hedera 5 persone, seguito il giorno dopo dall’uccisione da parte israeliana di 7 palestinesi, in un attacco aereo su Gaza. Il ministro della Difesa Saul Mofaz afferma “la impossibilità di raggiungere la pace con l’attuale dirigenza palestinese”, come ai tempi di Yasser Arafat.
1-4 novembre 2005 Nel campo profughi di Jabalya, elicotteri da guerra israeliani uccidono 2 militanti palestinesi, Hassan Madhun delle brigate al Aqsa e Fawzi Qaraan di Hamas. A Jenin, 40 blindati occupano la città per effettuare rappresaglie contro la popolazione. I militi circondano la moschea ed alcune abitazioni, arrestano decine di persone - fra esse il leader locale delle Brigate al Aqsa, Abu Hussein- e riducono in fin di vita un ragazzino di 12 anni. Circa le violenze israeliane contro i bambini palestinesi, in questi giorni è definitivamente assolto l’ufficiale israeliano che assassinò la piccola Imam, scaricandole addosso un caricatore mentre giaceva a terra. Ancora, il 3, sono caricati dalla polizia, come ogni settimana, i pacifisti che protestano contro le annessioni a Bilin, in Cisgiordania, con l’arresto di un esponente e di due operatori di “Al Jazeera”.
15 novembre 2005 “Le monde diplomatique” pubblica un servizio del giornalista israeliano Amnon Kapelioux che rilancia l’ipotesi della morte per avvelenamento di Yasser Arafat. La stessa tesi è sostenuta dal presidente siriano Bashar Assad.
17 novembre 2005 A Jenin, due ragazzi palestinesi, Mohammed Zaid e Ahmed Abahri, sono freddati da militi israeliani a un posto di blocco.
20 novembre 2005 Ariel Sharon annuncia la scissione del Likud per dare vita ad un nuovo partito, intenzionato a chiudere la ‘questione palestinese’ con la creazione di una parvenza di stato - smilitarizzato e sottomesso ad Israele, un bantustan, cui sarebbe assegnato un territorio pari a circa il 10-15% della Palestina - e ad operare la annessione ad Israele di Gerusalemme. Il nuovo partito si chiamerà Kadima e prevede la confluenza della vecchia guardia del Partito laburista che si riconosce in Shimon Peres e nel nuovo leader Amir Peretz, già sindaco di Sderot.
21 novembre 2005 Un rapporto dell’Unione europea, che accusa Israele di procedere a continui espropri e alla “annessione di fatto di Gerusalemme est”, è bloccato, dietro pressione israeliana, apparentemente per iniziativa del ministro degli esteri italiano Gianfranco Fini.
25 novembre 2005 Al valico di Rafah, i palestinesi festeggiano, al suono dell’inno nazionale, il passaggio di sovranità della frontiera e gli osservatori dell’Unione europea, guidati dal generale italiano Pietro Pistolese, che dovranno vigilare sull’agibilità del valico fra la striscia di Gaza e l’Egitto. Gli israeliani continueranno però a controllare il valico, mediante telecamere, per chiedere il fermo di persone ‘sospette’; mentre solo i palestinesi muniti di certificato di residenza (tuttora fornito da Israele) potranno passare la frontiera. Gli stranieri dovranno entrare, invece, attraverso il valico israeliano di Kerem Shalom.
3 dicembre 2005 A Roma, Abu Mazen è ricevuto dagli esponenti politici e da Benedetto XVI al quale consegna un documento che lo rende cittadino onorario di Betlemme. Al Papa il presidente palestinese narra le vessazioni, i furti di terre, la situazione devastata di Gerusalemme, di fatto annessa da Israele, la diaspora che colpisce arabi e cristiani; ma, secondo le cronache, non riceverebbe che la promessa di “preghiere”.
3 dicembre 2005 Una motovedetta israeliana spara contro un peschereccio uccidendo sul colpo il giovane Ziad Dardawil. E’ falciato dai colpi israeliani anche un ragazzino, Said Libdeh di 16 anni, disarmato come il primo, che si era introdotto in territorio israeliano per cercare lavoro. Botte ed arresto sono riservati invece ad un giornalista di “Al Jazeera”, Awad Rajub, sequestrato da militi israeliani nei pressi della sua abitazione, ad Hebron.
5 dicembre 2005 A Netanya, un attentato suicida provoca la morte del giovane attentatore di Jihad ed altre 5 vittime israeliane. La rappresaglia israeliana è al solito immediata e durissima, con decine di arresti, minacce di morte ai candidati di Hamas, peraltro estranea all’attentato, blocco dei passaggi fra i Territori ed Israele, attacco al campo profughi di Rafah ed uccisioni fra le quali quella di Mahmud al Akran, eliminato con missili il 7 dicembre mentre transitava con la sua auto; di 3 militanti delle brigate al Aqsa, Ziad Qaddas, Jadal Najjar, Khader Rayyan, l’8 dicembre; fra i diversi feriti dalle azioni omicidiarie è in gravi condizioni una bambina di 6 anni.
13 dicembre 2005 A Nablus, l’ennesima incursione dell’esercito israeliano provoca la morte di uno studente, Hussam Saqer, ed il ferimento di una trentina di persone. Un contadino, Mohammed Fara, è falciato dai colpi israeliani (forse da coloni) mentre lavorava nel suo campo ad Abbasan.
16 dicembre 2005 La seconda tornata di elezioni comunali, in Cisgiordania, vede il successo di Hamas; un vero trionfo a Nablus, dove il movimento islamico conquista 11 consiglieri su 13, così come ad Al Bireh e Jenin. L’unico centro dove Fatah conquista la maggioranza è Ramallah.
21 dicembre 2005 Il governo israeliano conferma che impedirà ai palestinesi residenti a Gerusalemme est l’esercizio del voto alle prossime elezioni politiche, per pilotare le elezioni e scongiurare la possibile vittoria di Hamas. Il ministro dell’informazione palestinese, Nabil Shaat, annuncia a sua volta che, se ciò accadrà, “allora non ci saranno del tutto elezioni”, per l’analogo timore dell’Anp, peraltro non dichiarato per tale.
21-22 dicembre 2005 Israele continua le incursioni a Jenin e Nablus, ammazzando in quest’ultima città l’esponente di Hamas, Ziad Jalbush. Il giorno successivo, a morire sono il leader del Fronte popolare per la liberazione della Palestina, Bashar Khalani, ed il giovane Ibrahim Naana, colpito dall’artiglieria nella ‘zona cuscinetto’ di Gaza.
27 dicembre 2005 La stampa israeliana conferma l’intento del governo di annettere definitivamente le zone circostanti Gerusalemme, abitate da oltre 200.000 arabi, le colonie di Ariel nel nord della Cisgiordania e l’enclave di Gush Etzion a sud di Betlemme, dove sono state deliberate 228 nuove abitazioni per gli ebrei. Altro esproprio di terra palestinese si sta consumando nella valle del Giordano, per la quale è stato predisposto un piano di colonizzazione totale; e persino nella striscia di Gaza, a pochi mesi dallo sgombero, con la motivazione di creare una ‘zona cuscinetto’ nella quale Israele si riserva il diritto di sparare su chicchessia mediante aerei senza pilota: ciò avviene in questi stessi giorni, colpendo anche due uffici di Fatah (probabile rappresaglia per non avere il presidente Abu Mazen obbedito all’ordine di evacuazione impartito dagli occupanti). Nel corso degli ultimi mesi, infine, coloni ebrei si accaniscono contro gli uliveti palestinesi circostanti Nablus tagliando alberi (almeno 2400 finora) nella totale impunità. Ai nuovi furti non segue quasi nessuna reazione internazionale.
29 dicembre 2005 A Tulkarem, un giovane kamikaze palestinese si fa esplodere provocando la morte propria, di un ufficiale israeliano e di 3 persone di nazionalità araba al suo seguito. Intanto, gli oltranzisti israeliani non perdono tempo: in pochi giorni sono stati occupati, da centinaia di coloni, 14 nuovi ‘avamposti’ in Cisgiordania, senza alcun contrasto da parte dell’esercito, occupato a sparare nella cosiddetta ‘zona cuscinetto’ – dove è contrastato dai razzi Qassam- ed in Libano, dove viene bombardata una base palestinese presso la capitale.
31 dicembre 2005 Secondo dati diffusi da ‘Peace now’, l’incremento dei coloni ebrei nei Territori occupati, nel solo anno 2005, è stato di circa 10.000 unità, per un totale di 253.714; sempre nel corso del 2005 le nuove costruzioni coloniche sono state 1.184.
1 gennaio 2006 S’incontrano esponenti di Hamas e di Fatah, i quali ultimi cercano di ottenere un rinvio delle elezioni politiche previste per il 25 gennaio. Hamas rifiuta. Fatah è in preda a scontri interni fra poliziotti e gruppi armati, che chiedono di essere inclusi nelle forze di sicurezza, ed a scontri politici per la formazione della lista, nella quale è stato infine inserito come capolista Marwan Barghouti, il più popolare leader di Fatah, condannato a 5 ergastoli e detenuto in Israele, accanto a uomini come il capo della sicurezza Jibril Rajoub ed il ministro degli affari civili Mohammed Dahlan, contestato per la sua politica collaborativa con Israele e gli Usa e indicato come mandante dell’uccisione del cugino di Yasser Arafat.
2-3 gennaio 2006 Le forze israeliane continuano le incursioni su Gaza, uccidendo due militanti di Jihad ed operando l’arresto del leader delle Brigate al Aqsa, Alaa al Hams. Miliziani di Fatah reclamano la liberazione del loro esponente ponendo in essere azioni clamorose, come l’abbattimento di un tratto del muro lungo la frontiera di Rafah, azione nella quale restano uccisi 2 poliziotti egiziani, ma alcuni fra gli autori del gesto sono a loro volta arrestati; in un’altra azione, uccidono un militante di Hamas.
4 gennaio 2006 Ariel Sharon è colpito da un ictus dal quale non si riprenderà. Militanti e giovani palestinesi si abbandonano pubblicamente alla gioia ed a festeggiamenti. Opposti i sentimenti fra i coloni israeliani, che si identificano nel leader per la sua fermezza ed il pugno di ferro contro i palestinesi. Sarà presto approntata una pagina web piena di elogi per queste 'imprese'. Per esempio, “...Sharon partecipa personalmente alle perquisizioni. Ordina ai soldati di eseguire un'ispezione fisica completa di tutti i maschie a volte, per poter condurre una perquisizione, impone il coprifuoco nei campi profughi. Il chiaro obiettivo della missione è trovare i terroristi e ucciderli. I soldati hanno ordine di non cercare di catturare i terroristi vivi. Sharon comanda loro di essere duri con la popolazione locale, di eseguire perquisizioni nelle strade e, se necessario, perfino spogliare i sospetti; di sparare per uccidere qualsiasi arabo in possesso di una pistola; di sparare per uccidere qualsiasi arabo che non obbedisca ad un ordine di Stop; e di ridurre il rischio per la propria vita non esitando a sparare massicciamente, sradicando gli alberi dai frutteti che rendono difficile la cattura dei terroristi, demolendo le case e cacciandone via i proprietari...”
5 gennaio 2006 A Tel Aviv, la carica di primo ministro è conferita temporaneamente ad Ehud Olmert, affiancato dal ministro degli esteri Tzipi Livni. L’unico cambiamento avvertibile, nell’immediato, è l’ammissione al voto degli arabi residenti a Gerusalemme est, praticabile mediante gli uffici postali, mentre resta interdetta la campagna elettorale di Hamas. E' inoltre stato costretto a dimettersi dalla Knesset il figlio di Sharon, Omri, accusato di corruzione.
12 gennaio 2006 A Jenin, in un’incursione, le truppe israeliane uccidono due militanti di Jihad, Moataz Abu Khaled ed Alì Khazneh. L’esercito ha completato nel frattempo il blocco di Tulkarem, Nablus e della stessa Jenin che, causa le recinzioni ed i check point, sono ora totalmente isolate dal resto dei Territori.
16 gennaio 2006 Dopo l’annuncio del premier ad interim Ehud Olmert di voler dare seguito, sollecitato in tal senso dal presidente americano Bush, al previsto sgombero di alcune colonie in Cisgiordania, 500 coloni si asserragliano nella città di Hebron dando vita a scontri e violenze razziste. Per intanto, è operativo solo l’ordine di evacuare un edificio sottratto anni fa ai palestinesi, con la violenza, che gli oltranzisti si apprestano a difendere con ogni mezzo.
17 gennaio 2006 A Tulkarem, truppe israeliane uccidono Thabey Ayadeh, responsabile locale delle Brigate Ezzedine al Qassam (Hamas), mentre tentava di sfuggire alla cattura.
19 gennaio 2006 A Tel Aviv, un attentatore suicida delle brigate al Quds si fa esplodere per vendicare gli ultimi assassinii e violenze contro i palestinesi, ferendo una trentina di persone.